mercoledì 25 giugno 2008

Gli effetti secondari dei sogni di Delphine De Vigan


"Chi è mamma di figlie adolescenti - intendo le dodici/tredicenni di oggi che corrispondono alle quindici/sedicenni della nostra generazione di genitori - dovrebbe leggere Delphine de Vigan. Lo stesso vale per chi è papà, sorella o fratello grande o insegnante di adolescenti. Il romanzo s'intitola, in italiano, Gli effetti secondari dei sogni. Un titolo che potrebbe trarre in inganno: l'originale è più sobrio e diretto, No et moi. La narratrice, il moi insomma, è Lou, ha tredici anni. No, che sta per Nolwen, l'altro polo del titolo, è una giovane donna, appena 18 anni, ed è una SDF. La sigla, in Francia, serve a designare coloro che non hanno un domicilio fisso, i senzatetto, quelli che dormono per strada o nei centri di accoglienza. Il titolo italiano, dicevo, potrebbe trarre in inganno perché si focalizza su un aspetto in particolare del libro, e cioè il suo appartenere alla categoria del 'romanzo di formazione'. L'età adolescenziale comporta la fase dell'illusione, cui necessariamente la crescita - determinata dall'esperienza - fa succedere la disillusione. Il percorso dal primo al secondo punto, benché doloroso, è fondamentale per l'autodefinizione dell'individuo. L'adolescente deve passare per quell'esperienza, e assistere al crollo di certe sue illusioni, per poter accettare e poi gestire l'abbandono dell'infanzia. La storia che racconta Delphine de Vigan, in effetti, è anche questo. Ridotto all'osso, il romanzo è centrato sull'incontro tra Lou e No. La tredicenne, che ci parla in prima persona, e vive l'isolamento di quelli che in Francia sono chiamati i surdoués (QI più alto dei coetanei) oltre a quello determinato dalla grave depressione di cui soffre la madre, incontra alla stazione No. Si turba per le condizioni di vita della giovane donna, le si affeziona e spera di poterla salvare con il suo affetto. Ottiene dai genitori di ospitarla in casa loro, amicizia e recupero sia di No sia della madre di Lou procedono di pari passo. Poi la situazione precipita, e Lou scopre a sue spese che il desiderio non è sufficiente a trasformare i sogni in realtà. Alla fine del libro, in pratica, dopo la cocente disillusione, Lou è diventata più grande e ha capito tante cose. Con occhio sociologico, si potrebbe presentare il romanzo anche come uno straordinario documento sulle cause di un fenomeno in preoccupante aumento, il numero crescente delle senzatetto donne, in particolare molto giovani, come Nolwen. Oppure, o anche, sull'alcolismo strisciante che dilaga, mentre si abbassa via via la soglia d'età di chi ne dipende. Altrettante valide ragioni per leggere il libro di Delphine de Vigan. La più profonda però è un'altra. Lou è un personaggio di pura finzione e come tale riassume in sé, fittiziamente, i tratti di molte adolescenze possibili: da quella di molte dodicenni di oggi a quella di molte ex, oggi mamme delle odierne dodicenni, ieri o l'altroieri adolescenti a loro volta, ad altre. Va detto che Delphine de Vigan, al suo quinto romanzo, esordiva nel 2001 con Jours sans faim (Giorni senza fame), pubblicato sotto il falso nome di Lou Delvig. Quel primo libro, più una autofiction che un romanzo, ma che utilizzava l'espediente dello pseudonimo come filtro, e la terza persona come figura di uno sdoppiamento protettivo, traduceva in scrittura una forma particolarmente drammatica di rifiuto della crescita, l'anoressia: tributo pagato dall'adolescente che lei era stata, in un prima non molto remoto, a una situazione familiare carica di ferite. Adesso che ha ripreso il vero nome, e con esso le forze e il coraggio di vivere, Delphine de Vigan non ha dimenticato quella Lou. L'ha fatta diventare protagonista e narratrice di un romanzo. Mamme, papà, sorelle, fratelli, insegnanti di dodicenni che passano ore in rete, su msn, o che alternano furie esistenziali da ribelli accanite con preoccupanti e silenti rifiuti,mai nsieme si pongono (e augurabilmente vi pongono) tante domande, dal senso della vita al senso in cui, al primo bacio profondo con un ragazzo, dovranno far girare la lingua, se orario o antiorario: leggete Delphine de Vigan." (da Gabriella Bosco, La donna che non ha un tetto, "TuttoLibri", "La Stampa", 21/06/'08)

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