"La Dismissione di Ermanno Rea, un capolavoro della nostra letteratura, è uscito nel 2002. Ci sono stati poi altri romanzi - gli ultimi, del 2007, di Ines Arciuolo (A casa non ci torno, Stampa Alternativa) e di Alberto Papuzzi (Quando torni. Una vita operaia, Donzelli) - , film (uno, bellissimo, tratto dalla stesso libro di Rea, La stella che non c’è di Gianni Amelio del 2006, ma prima ancora Non mi basta mai di Guido Chiesa e Daniele Vicari, 1999, Asuba de su serbatoiu di Daniele Segre, 2001, e ora Signorina Effe di Wilma Labate e il documentario In fabbrica di Francesca Comencini, tutti e due del 2007), spettacoli teatrali, (quelli di Marco Baiani, Fabbrica, di Ascanio Celestini e, quasi profetico, Fantasmi d’acciaio di Beppe Rosso, realizzato a Torino, alle acciaierie ex Ilva di via Pianezza, che ruotava intorno a un blocco di ghisa, abbandonato con la fabbrica, che conteneva i resti di un operaio morto in una colata).
No, la cultura italiana non ha aspettato i morti della Thyssen per 'riscoprire' gli operai. E’ vero, erano usciti dalla scena politica dopo la sconfitta subita nel 1980 (i '35 giorni della Fiat') e il suo corollario, il referendum sulla scala mobile del giugno 1985. Il colpo fu durissimo; negli Anni Settanta quando si muoveva Mirafiori cadevano i governi (Rumor nel luglio 1969, Andreotti nella primavera del 1973), poi più niente. L’incremento vertiginoso delle classi medie (dal 38,5% della popolazione attiva del 1971 passarono al 46,4% del 1983) cambiò la geografia economica del Paese. Soprattutto al Nord le classi medie urbane diventarono il settore nevralgico della società italiana. Gli operai si congedarono dal protagonismo politico ma continuarono a esistere nella realtà; solo che ad accorgersene rimasero in pochi. Ci fu prima il silenzio, poi una sorta di antropologico distacco come se si trattasse di sopravvissuti ad altre ere geologiche. Ma almeno tre generazioni di intellettuali italiani si erano formati nel segno di un Novecento fordista e operaio; era un lascito troppo forte per essere semplicemente accantonato. La dimensione culturale, da sola, non è in grado però di produrre la massa critica necessaria per sfondare la soglia della visibilità mediatica. Gli operai divennero prima marginali, poi invisibili; quando riemergevano (come capitò sul palcoscenico del Festival di Sanremo) lo facevano nel segno di una subalternità senza rimedi. Scomparvero dai media e scomparvero dalla politica; oggi i morti della Thyssen hanno di colpo riacceso i riflettori. Un’opinione pubblica assetata di sensazioni forti ha visto in quei corpi bruciati il simbolo di una condizione operaia che aveva sempre voluto ignorare; acciaio, fiamme, olio bollente, l’inferno delle fabbriche ottocentesche si è materializzato di colpo nell’atmosfera rarefatta della dimensione virtuale dei circuiti mediatici. E così anche la politica ha riscoperto una realtà che scrittori, registi, attori non si erano mai stancati di raccontare." (da Giovanni De Luna, Gli operai? Fantasmi solo per media e politici, "TuttoLibri", "La Stampa", 15/12/'07)
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