"Da Pieve di Soligo, dove si alzano le Prealpi Trevigiane, lo sguardo di Zanzotto si allunga oltre il paesaggio veneto, scavalca la laguna e l'inferno di Marghera e arriva fino in Cina, 'il paese in cui lo sconquasso ambientale corre al ritmo di un capitalismo vorace, perché viaggia con i metodi autoritari del partito comunista', dice il poeta. Ma è la pedemontana, sono l'altopiano di Asiago, il Montello e il Piave la ragnatela alla quale restano avvinghiati i suoi versi. E anche le sue battaglie perché non tutto di queste colline venga devastato dal cemento degli stabilimenti industriali e delle villette. [...] Dopo la guerra si costruiva perché c'era bisogno, continua Zanzotto. Le case erano distrutte. C'erano i soldi del Piano Marshall. Disordinatamente, ma si raggiunsero 'gradini sopportabili di decenza'. 'Poi questo slancio si affievolì'. E come siamo arrivati ad oggi? 'Si è voluto ottenere il massimo con il minimo costo, ma poi il costo è stato altissimo. Il mito della ricchezza facile è un febbrone che ha il potere di distruggere l'organismo. E questo territorio è stato incrostato di stabilimenti che ora sono vuoti perché è più conveniente produrre all'estero, di centri commerciali dove - è accaduto un po' di tempo fa - un operaio è morto schiacciato e il suo corpo è rimasto coperto da un lenzuolo, mentre la gente entrava a far compere'. E il paesaggio che lei ricorda? 'Se potessi vederlo da un aereo non riconoscerei più nulla, ma passeggiando si può ancora scorgere qualche angolo che alimenta la facoltà dell'immaginazione. Prenda il Piave. Era un fiume torrentizio. Ora è asciutto in tanti tratti, eppure quelle linee d'argento che attraversano il suo letto continuano a nutrire la creazione mitica.'" (da F. Erbani, Andrea Zanzotto. Chi salverà il Veneto dal cemento, "La Repubblica", 07/12/'07)
Fu Marghera
Vuoto come denti cavati
quadri e intarsi di nulla diversi
l'abbandono non è
né morte né liberazione
l'abbandono è crollo disarticolazione
è strappo di colori e di forme del nulla
che non si rivelò più creante
che in questa spenta saccagnata ridda
secche scadenze dei fuochi del niente
sono bocche sdentate pelli bruciate
forze defenestrate ma per niente
domate o patafisiche in nero in cinerino
smascherate, virate, creative nell'essere
puri colmi di morte della stessa morte.
Questa poesia di Zanzotto è inedita, viene esposta alla mostra fotografica "L'altra Venezia" al Molo K di Marghera, organizzata nell’ambito delle attività che affiancano Mestre Novecento. L’esposizione ospita una serie di fotografie di Giuseppe Dall’Arche accompagnate da alcune poesie di Andrea Zanzotto, quaranta immagini che documentano Marghera in una stagione strana e cruciale della sua storia, a cavallo del millennio. Riprese, tra il 1997 e il 2004, nel complesso industriale di Porto Marghera queste fotografie sono la rappresentazione tutt’altro che idilliaca di un complesso industriale, della sua potenza e del suo decadimento con anche la rappresentazione di ruderi di complessi e installazioni industriali esausti e obsoleti. Nelle fotografie, dove la temporalità è soltanto quella rappresentata nell’immagine, cioè un tempo circoscritto e fermo, vi sono edifici, muri, torri, gru, strade, luci, segni di un’attività passata e ancora presente mentre non c’è traccia di esseri umani. Anche il titolo è enigmatico Molo K Marghera, dove il luogo è quello di una metafora, e la 'K' riprende uno dei modi abituali per indicare, tra addetti ai lavori e in maniera non palese per l’ammalato, la malattia neoplastica. Un modo per ricordare che in fabbrica si può morire, per rendere omaggio alle vittime di un 'crimine di pace'. (da Exibart)
"Andrea Zanzotto: l'inevitabilità della poesia" (da RaiNews24)
Ritratti: Andrea Zanzotto (Fandango, 2007)
Le opere di Zanzotto
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