sabato 30 ottobre 2010

Storia di Inge, un film scritto in migliaia di libri



"'Il 14 marzo avevo un appuntamento con lui e con Carlo nella piazza principale di Lugano: avevamo programmato di ripartire alle tre del pomeriggio, ma Giangiacomo non arrivava. Ero sfinita, mi sembrava una cosa impossibile. Ripartimmo per Milano perché Carlo aveva una partita alle cinque ...'.
Il mattino dopo, sul Corriere della Sera, c'era la foto di un morto senza nome, ai piedi di un traliccio, 'ma io capii subito che era lui'.
Inge Feltrinelli rievoca, forse per la prima volta, la ferita di quella oscura tragedia, di cui lei rifiuta tutte le versioni ufficiali, uno die tanti misteri di quel 1972 funestato in Italia dallo stragismo, dla terrorismo e dalla paura di un colpo di Stato. Racconta la sua vita, di dolore, felicità, lotta, entusiasmo, amore, con sincerità, serenità e trattenuta commozione, in una lunga intervista a Simonetta Fiori: 14 ore di filmato girato in quattro giorni, destinato agli archivi della casa editrice come memoria degli anni in cui 'Milano era come New York', luogo di intelligenza e cultura internazionale, punto di riferimento europero per i grandi scrittori del mondo raccolti attorno alla casa editrice Feltrinelli.
Ridotto a 75 minuti, il racconto è diventato un film con la regia di Luca Scarzella, prodotto da Carlo Feltirnelli, distribuito dall'Istituto Luce, che verrà presentato al Festival di Roma il 3 novembre con il titolo Inge Film.
La giacca del suo colore preferito, l'arancione, la camicia gialla, gli orecchini vistosi e non preziosi, seduta a quella che fu la scrivania di Feltrinelli e che ora, carica di libri, è la sua, Inge dice: 'Avrei potuto avere lo stesso destino di Anna Frank'. Ma il padre, ebreo, chiese a sua madre di divorziare da lui per liberarla dal pericoloso cognome Schoental.
«Mia madre si risposò con un ufficiale della cavalleria tedesca che mi adottò, anche se non si poteva avere una moglie con una figlia mezza ebrea». La prima prova dura della vita di Inge non fu la guerra (perché con quel patrigno militare «non ne ho vissuto le crudeltà né le persecuzioni»), ma piuttosto quando chiese al suo vero padre, che in America si era risposato, se poteva aiutarla a uscire dalla troppo stretta Göttingen, e lui disse di no (perché la moglie «non mi voleva»).
Eppure la mia reazione fu vitale come sempre: «Ok, ho capito, in fondo oggi sono molto felice di non essere andata in America». A vent’anni Inge Schoental, è una ragazza slanciata, dalla vita sottile, dalle gambe perfette, un sorriso irresistibile e i capelli neri tagliati corti, una bellezza molto moderna, tra Audrey Hepburn e Leslie Caron.
Arriva ad Amburgo in bicicletta dove «l’impertinenza e l’arroganza» l’aiutano molto. Certo, anche la sua grazia, l’intraprendenza, la capacità di rischiare che, ma lei non lo dice, deve affascinare gli uomini. Il film splende di decine di immagini della sua giovinezza, carinissima, elegante, piccante, sempre con pettinatura diverse, già accanto a celebrità. Mentre lei racconta, appaiono le immagini del suo periodo di reporter, quando a New York, dove è arrivata gratis su un cargo, in strada vede Greta Garbo, sola, e scatta: «Vendetti la foto a Life per cinquanta dollari, i primi della mia vita!».
Gira il mondo senza un soldo, è avventurosa, ha sete di cultura. Lo scoop che la rende famosa è quando riesce a farsi ricevere, a Cuba, da Hemingway, che, incantato dalla sua irruenza, le consente anche di fotografarlo ubriaco disteso sul pavimento.
A una festa in casa dell’editore tedesco Rowohlt, c’è «un uomo con i baffi e gli occhiali, solo. Era Giangiacomo Feltrinelli». Foto e video raccontano di un colpo di fulmine, e li ritraggono abbracciati in barca, raggianti nella villa di Gragnano dove lei dorme nella camera che fu di Mussolini, sola, perché lui non incorra nel reato di bigamia.
«Lui era molto schivo, molto timido, molto sospettoso, non molto allegro, però aveva un senso dell'umorismo molto spiccato ... Il suo non era un romanticismo kitsch, ma molto sottile, e molto serio, alla tedesca, conteneva sempre un elemento di tragicità ...». Mentre ricorda, il film si immerge in quelle desolate giornate del 1972, con le condoglianze dei pochi amici rimasti, la folla dei funerali, il viso chiuso del piccolo Carlo, decenne, che da tempo si era forse sentito abbandonato dal padre in clandestinità: «Lui e Carlo si amavano pazzamente, lui soffriva di non poterlo vedere spesso. Per tutta la vita è stato un uomo molto tormentato, anche quegli incontri erano molto tormentati, era davvero doloroso».
Un giorno dopo il bambino tornò a scuola, il Parini, e il dolore venne dopo: «Non ricordo quando avvenne il crollo, ma divenne molto ribelle». La signora di cui si conoscono l’ironica frivolezza, le frequentazioni di mondana cultura internazionale, la passione per il ballo, rievoca la ferita nascosta, mai rimarginata di una passione spezzata: «Da un amore così non ci si può riprendere. È come una malattia seria ... Ma si deve avere la forza di superare la tragedia ... Tutte le tragedie danno una forza enorme, sono importanti».
Da quel momento per la casa editrice che aveva pubblicato Il dottor Zivago (e per questo a Feltrinelli non fu rinnovata la tessera del Pci), Il gattopardo, gli scrittori sudamericani, il Gruppo 63, (dice Inge: «Eravamo circondati da gente che voleva cambiare il mondo con i libri»), che aveva aperto le librerie più moderne, non c’era più un soldo, le banche non facevano più credito, grandi scrittori come Márquez se ne andarono.
«L’idea che io sia stata l’unica salvatrice della casa editrice è un’esagerazione, eravamo un gruppo con la volontà di andare avanti. Forse io fui brava con i tutori legali che volevano chiudere la casa editrice. Ai quali risposi: ce ne freghiamo, andiamo avanti».
Dopo la morte di Feltrinelli, nella vita di Inge entra Tomás Maldonado, una delle più grandi personalità della cultura internazionale: «È un uomo molto razionale, con tanti interessi, molto rigoroso. Per me è stato importantissimo e anche per Carlo. È una roccia nella nostra famiglia».
Suo figlio Carlo oggi è l’amministratore delegato della casa editrice, di cui lei è presidente: «Vorrei vivere ancora un po’ per vedere i miei nipoti diventare uomini ... Spero che mio figlio debba sopportare questa rompiscatole, magari su una sedia a rotelle, ancora per tanto tempo».
Il film si chiude con le fotografie delle centinaia di persone entrate in qualche modo nella vita straordinaria di Inge, da Picasso a Karen Blixen, da John Kennedy a Gorbaciov, da Brecht a Camilla Cederna, da Hitchcock a Wilder, da Indira Gandhi a Giorgio Napolitano, a tutti gli altri." (da Natalia Aspesi, Storia di Inge, un film scritto in migliaia di libri, "Il Venerdì di Repubblica", "La Repubblica", 29/10/'10)

Una vita da romanzo

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