sabato 16 ottobre 2010

L'ostracismo


"Capita a molti di diventare di colpo, da un giorno all'altro, uomini o donne invisibili, persone che gli altri si rifiutano di vedere. Come racconta Ralph Ellison nel suo romanzo, Uomo invisibile (1953), ristampato di recente da Einaudi, l'invisibilità dipende da uno stigma, un segno, che il protagonista ha su di sé: egli è un nero nella società nordamericana degli Anni Cinquanta. Ma non è necessario essere marchiati da uno stigma così evidente, bastano piccole cose, eventi o aspetti minimi, perché scatti il meccanismo dell'esclusione, e si venga respinti oppure ignorati. È capitato a tutti, e senza un'apparente ragione, di trovarsi da ragazzi al margine del gruppo di amici: una festa cui non si è invitati, il telefono che non squilla più, una frase sgradevole detta durante l'intervallo a scuola, amici che non salutano.
Adriano Zamperini, docente di psicologia sociale, ha descritto in un libro, intitolato L’ostracismo - in uscita da Einaudi -, questa condizione consueta, se non proprio costante, della nostra vita, quel modo di essere off-line, sconnessi rispetto agli altri, che segna i rapporti sociali, e a volte persino il destino delle persone: vincenti o perdenti.
Zamperini parte da una constatazione: viviamo in una società schizofrenica; da un lato, incentiva fortemente l'indipendenza e l'autonomia degli individui («l'autosufficienza dell'io»); dall'altro, segnala continuamente il rischio di restare tagliati fuori dagli altri, anche per un tempo brevissimo. Tuttavia noi sappiamo bene che, per quanto sia innata in noi l'esigenza di essere accettati, di non ricevere rifiuti, la vita è scandita naturalmente da piccole e grandi esclusioni. L'estensione delle relazioni intessute dall'esplosione del web (posta elettronica, Skype, social network, twitter, ecc.) però ci fa ora dipendere da una stretta relazione virtuale con il nostro prossimo, segno evidente di un bisogno spasmodico di essere riconosciuti dagli altri.
Eppure un fattore entropico s'impone: ciascuno di noi può sostenere solo un limitato numero di nicchie relazionali, e quando si decide di passare del tempo con qualcuno, si mina la possibilità di stare con qualcun altro, senza contare che molte relazioni - affettive, amicali, sentimentali - richiedono impegno, e quelle che non ricevono le dovute attenzioni diventano insostenibili.
Questa semplice constatazione, che molti tuttavia non fanno, spiega di per sé le ragioni dell'ostracismo che provochiamo, o subiamo, nella cerchia più o meno stretta delle relazioni umane. Capita spesso agli adolescenti, veri malati del cyberspazio, di agitarsi se non ricevono risposte immediate alle proprie e-mail, se all'improvviso il silenzio cala in una conversazione in chat. Perché non risponde? Cosa mai è successo? Cosa ho detto? A volte si tratta d'inconvenienti passeggeri, altre volte di veri e propri episodi di cyberostracismo: ignorare l'altro col silenzio in Internet, o non rispondendo agli sms e al cellulare. La pressione culturale per l'affermazione di sé è oggi così forte che diventa difficile affrontare il pericolo di essere ignorati nei rapporti in chat. Ma non c'è solo questo tipo di rifiuto. L'esperienza di essere respinti riguarda altri aspetti della nostra vita quotidiana; l'aggressività implicita o esplicita, è ben presente soprattutto nelle scuole.
Zamperini cita il caso di Poppy Bracey, una studentessa inglese di 13 anni, capelli biondi, grandi occhi, viso truccato. Ragazza bella, troppo bella, che per questa ragione viene discriminata dai compagni: pettegolezzi, silenzi, smorfie, ghigni, sguardi che offendono. Ogni giorno a scuola diventa per lei una tortura, e cominciano anche telefonate con false richieste di posare per un servizio di moda. Alla fine Poppy si impicca nella sua camera.
Un episodio estremo, certo, ma che testimonia di una condizione traumatica molto diffusa. Nella parte finale del libro Zamperini si sofferma sul caso arcinoto di Columbine, nel Colorado, dove nel 1999 due ragazzi di 18 e 17 anni sparano sui loro compagni di scuola uccidendone 13, per poi suicidarsi. Un episodio che è collegato, scrive lo psicologo, ai rituali di esclusione, all'ostracismo, alle rabbie e alle follie, che le relazioni tra coetanei, unite e stati alterati della psiche, possono anche produrre.
Non sempre tuttavia l'esperienza del rifiuto generano reazioni sconsiderate, e questo perché ci siamo allenati durante l'adolescenza a ricevere piccole o grandi repulse amorose; ed è bene che da ragazzi si debba fare una sorta di apprendistato scandito da rifiuti, respingimenti più o meno dolorosi, per poter in seguito pervenire «a una più accurata valutazione del proprio valore relazionale».
Alla fine della lettura di questo testo torna in mente l'analisi che Primo Levi in Se questo è un uomo dedica ai sommersi e ai salvati nel Lager. Egli nota che nella vita comune non accade spesso che un uomo si perda, poiché normalmente non si è soli, e nel suo scendere ognuno di noi risulta saldamente legato al destino dei propri vicini.
Dopo aver letto L'ostracismo ci si può chiedere se nella società individualista e narcisista attuale questo sia ancora vero, se cioè siamo davvero così legati gli uni agli altri, da non dover far subire a nessuno il destino del «sommerso». L'illusione dell'autonomia del singolo, insieme alla necessità di essere on line, è andata così avanti che l'esclusione appare una delle fonti maggiori di sofferenza dei singoli. Colpisce i più deboli: bambini, giovani, portatori di handicap, «diversi»; e l'ostracismo è una pratica così diffusa da costringere molti a un lavoro aggiuntivo nel tentativo di stare in equilibrio.
Quello che abbiamo perso in termini di coesione, per quanto costrittiva e autoritaria, non ci è stato, alla fin fine restituito sul piano della liberazione del proprio self. A tutti potrebbe capitare di diventare di colpo dei Fantozzi, a cui lo psicoanalista della mutua, storpiandone il nome, può dire: «Ragionier Fantocci, lei non ha nessun complesso d'inferiorità! Lei è inferiore!». Sovente l'alternativa è tra diventare dei camaleonti sociali, Zelig dell'interattività umana e conformisti perfetti, o sviluppare la psicologia del Robinson Crusoe per sopravvivere al naufragio quotidiano nelle relazioni sociali. Un magro risultato di tanto progresso tecnologico ed economico." (da Marco Belpoliti, I Robinson del naufragio quotidiano, "La Stampa", 16/10/'10)

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