sabato 9 ottobre 2010

Il libro dei bambini


"Antonia Byatt si conferma, con Il libro dei bambini (Einaudi), una delle più grandi scrittrici contemporanee, e sicuramente la più complessa, sofisticata e originale. A vent'anni da Possessione, che vinse il Booker Prize, arriva un altro assoluto capolavoro letterario, un'opera di 700 pagine che è insieme un saggio colto e illuminante sull’immaginario inglese di una particolare epoca storica (gli ultimi anni dell'Ottocento e i primi del Novecento) e un romanzo dalla trama costantemente sorprendente.
Gli anni in cui si concentrano le vicende, che vedono protagonisti, in modo corale, i membri di diverse famiglie variamente connesse tra loro, sono gli anni in cui si incomincia a dare un'importanza tutta nuova all'infanzia, che viene presa sul serio, ascoltata, amata, idealizzata, ma anche - proprio perché vista come più pura e diversa dal mondo dei grandi - lasciata libera di stare da sola, di correre nel verde, all'aria aperta, perché potesse ricordare agli adulti le origini lontane in cui l'umanità era tutt’uno con la natura. «Tom era parte integrante dell'idea di famiglia inglese in cui Dorothy aveva creduto, bambini che corrono liberi in boschi sicuri, nella luce screziata, accolti da genitori sorridenti quando rientrano graffiati e ansanti dalla Casa Albero e dai suoi innocenti segreti».
Fuggivano dal progresso, dall’urbanizzazione, dall’industrializzazione, dalla fuliggine, dalle ciminiere, gli inglesi ricchi, colti, raffinati, rifugiandosi in campagna, disturbati dalla bruttezza della modernità oltre che dalle sue ingiustizie sociali, e creavano comunità di artisti, di socialisti, di bohémiens, con tutte le contraddizioni che la loro classe sociale comportava, sforzandosi di crescere i figli con mente aperta, di assecondarne i talenti, di opporre la creatività alla meccanizzazione, l'artigianato, le arti, le cose belle all'utilitarismo imperante.
Sono gli anni delle «Arts and Crafts», di William Morris, dei preraffaelliti e di altri artisti reali che entrano nella storia come personaggi (una caratteristica
tipica di tutta la scrittura della Byatt). Ci sono, tra i protagonisti, maestri vasai, scrittori, marionettisti, burattinai, teatranti, ricamatrici, curatori di musei, tutti dediti in maniera totalizzante al loro mestiere o alla loro vocazione. Tutti in qualche modo critici nei confronti della realtà presente, e desiderosi di tornare indietro, a un passato più mitico che storico, un passato di cui l'infanzia era vista come integralmente parte.
E’ sull'idea dei bambini come creature mitiche, non ancora parte della corrotta realtà e perciò affascinanti, che si incentra il poderoso volume della Byatt, che riprendendo il sentire di un’epoca afferma che ciò che di meglio ci han dato quegli anni è la letteratura per l'infanzia, dalle opere di Carroll a quelle di Kenneth Grahame, di Barrie, di Beatrix Potter, di Kipling, della Burnett, di E. Nesbit: «Voci autorevoli sostenevano che la grande letteratura dell’epoca era la letteratura per bambini, che veniva letta anche dagli adulti».
E' così convinta di questo, la Byatt, che per tutto il romanzo non fa che riflettere, parlare, riferirsi, in molti modi, alla letteratura per l'infanzia, contenitore sorprendente e inesauribile di spunti, di metafore, di segni che possono essere usati, sempre, per spiegare il mondo, la vita e le sue più diverse, complesse, strane situazioni. «Questi ragazzini, pensò Julian, sono stati affascinati e abbindolati come se un pifferaio magico li avesse indotti a seguirli docilmente sottoterra»; «Per qualche motivo, ricordava con chiarezza il bosco di Alice attraverso lo specchio, dove le cose non hanno nome»; «Olive si tormentava con l'inutile pensiero che avrebbe dovuto proteggere quei ragazzi, che aveva distolto l'attenzione da loro, e li aveva perduti» (è a causa della distrazione degli adulti che ci sono, in Peter Pan, i ragazzi perduti); «Con i pavimenti inevitabilmente coperti dalla polvere e i telai che nascondevano le varie teche come drappi funebri su una bara, pareva di entrare nel palazzo della bella addormentata e allo stesso tempo nella tomba di Biancaneve». O ancora, in un dialogo tra amiche di cui una ha deciso di studiare seriamente le fiabe, intraprendendo la lunga carriera universitaria: «Non credi che dopo vent’anni passati a studiare Cenerentola potresti essere sopraffatta dall'idea dei figli che non hai avuto? - Molto probabile - disse Griselda. - Ma dopo vent'anni di gravidanze, di febbri e isolamento, sempre chiusa in casa potrei essere sopraffatta dall’idea di Cenerentola».
Poiché si parla di letteratura per l'infanzia come di quella letteratura «ricca di magia, storie di esseri semiumani ancora in contatto con l'antica terra» e di un’infanzia così amata in sé, come idea, che viene spinta a rimanere tale, l'epilogo del libro della Byatt non poteva essere più simbolicamente coerente.
La generazione di bambini di cui lei parla, i bambini per i quali furono scritti i grandi «classici» per l'infanzia, furono di fatto bambini per eccellenza: non solo perché vennero idealizzati e dunque in qualche modo cristallizzati, nell’immaginario, ma perché rimasero davvero, tragicamente, per sempre bambini. Morirono in massa, prima di poter vivere una vita da adulti, nelle trincee e nel fango della Prima guerra mondiale, risucchiati da quella terra con cui li si voleva miticamente tutt’uno." (da Giorgia Grilli, Com’era libera e pura l’infanzia nella Casa Albero, "TuttoLibri", "La Stampa", 09/10/'10)

1 commento:

rosa ridolfi ha detto...

il libro e' entusiasmante...colto senza affettazione, documentato, pieno di riferimenti e stimoli alla ricerca di un nuovo e antico filo...l'infanzia, per noi adulti, e' davanti a noi, spesso dimenticata, nella sua stupefatta intensita'. nella propria personale soggettiva ed assoluta lettura del mondo e scoperta delle relazioni..
dalla biblioteca scolastica. una prof.