sabato 30 ottobre 2010

L'uomo inquieto


"Sono passati dieci anni da quando avevo promesso a me stesso di non scrivere più del commissario Wallander. E per un periodo sono riuscito a dimenticarlo. Ma poi ho pensato che rimaneva un'altra storia da raccontare, quella davvero conclusiva". Non è facile uccidere un personaggio letterario, soprattutto se ti ha fatto vendere 34 milioni di copie in 80 paesi, ispirando numerosi adattamenti cinematografici e un alter ego televisivo come Kenneth Branagh. Dopo una lunga pausa, Kurt Wallander, il celebre poliziotto di Ystad, profondo meridione della Svezia, torna per indagare su un intrigo di sottomarini nucleari ai tempi della Guerra Fredda. "Ma il vero caso, adesso, è Wallander, il suo rapporto con la vecchiaia. Come tutte le persone arrivatea una certa età, affronta il suo crepuscolo". L'uomo inquieto (Marsilio) è l'undicesimo episodio della serie, l'ultimo. Questa volta Mankell è sicuro. "Wallander non muore, ma accade una cosa che renderà impossibile continuarea farlo vivere in altri romanzi" anticipa lo scrittore che inventò nel 1991 questo investigatore, una sorta di anti-eroe, quando ancora il noir svedese non era quella gallina dalle uova d'oro che oggi conosciamo. Dopo di lei sono arrivati Larsson, Persson, Lindkvist, Lackberg e tanti altri. E' stato un precursore? "Sono fenomeni inspiegabili. Trent'anni fa apparse Bjorn Borg, dando inizio a una formidabile stagione di tennisti svedesi. Magari anche io sono stato una sorta locomotiva per altri autori, soprattutto per il traino commerciale all'estero".
Come spiega questo successo planetario del noir svedese? "E' una letteratura lontana dagli stereotipi. Per quanto mi riguarda, ho sempre cercato di non seguire mai il cliché del classico investigatore. Kurt Wallander è un uomo pieno di contraddizioni, rancoroso, misantropo, tremendamente pigro. A un certo punto della serie l'ho anche fatto diventare diabetico. Immaginiamo James Bond farsi un'iniezione di insulina: sarebbe ridicolo".
Lei ha incominciato, diciannovenne, come regista teatrale. Cosa l'ha spinta verso il noir? "Nel 1989 ero stato a lungo in Africa. Al mio ritorno, ho avuto forte la sensazione che la xenofobia stesse aumentando in Svezia. Per parlarne, mi sembrava adatta la trama poliziesca. Prima ho creato la storia, poi Wallander. E' nato così Assassino senza volto".
Il razzismo è tornato d'attualità con l'ingresso nel parlamento svedese del partito xenofobo. Se lo aspettava? "C'è un vento di estrema destra che soffia su tutta l'Europa. La Svezia non poteva essere risparmiata per sempre. L'errore più grave è stato sottovalutare questa marea montante. Ci piaccia o no, dobbiamo parlare e confrontarci con questi elettori".
Perché ha scelto uno scandalo geopolitico di mezzo secolo fa come trama di L'uomo inquieto? "Negli anni Cinquanta tutti erano convinti che ci fossero incursioni di sottomarini russi nelle acque svedesi, ma quasi sicuramente non era vero. Eranoi sottomarini americania navigare senza problemi nei nostri mari. Il vero scandalo è aver potuto mentire così spudoratamente. Lo hanno fatto politici ma anche militarie giornalisti. La famosa neutralità della Svezia è stata una fandonia".
Il romanzo comincia con Olof Palme, il primo ministro assassinato nel 1986. Quell'omicidio fu uno shock per tutto il paese. "In Europa c'è ancora l'illusione che la Svezia avrebbe potuto essere un paese completamente diverso se Palme non fosse stato ucciso. Non lo credo. Palme è diventato un'icona, un mito. A lui ho dedicato un testo teatrale che ha debuttato a Stoccolma qualche settimana fa. Ho cercato di rappresentarlo per quello che era: un politico come gli altri, abituato a fare compromessi".
La vecchiaia del commissario Wallander è anche quella che sta affrontando lei? "E' vero che abbiamo la stessa età, 62 anni. Siamo due grandi lavoratori e tutti e due appassionati di lirica italiana. Ma a parte questo, non mi specchio assolutamente in Wallander. Anzi, disapprovo il suo atteggiamento nei confronti delle donne, il rapporto distruttivo che ha con il suo corpo, la sua tendenzaa isolarsi".
Lei passa metà dell'anno in Mozambico. L'Africa è una fonte di ispirazione? "Il successo del commissario Wallander mi ha dato la possibilità di costruire scuole o ospedali in Africa. Lavoro a Maputo, con i ragazzi del Teatro Avenida. Ormai vivo con un piede nella sabbia e uno nella neve. L'esperienza più profonda per un occidentale è scoprire le molte cose in comune tra l'Africa e la nostra cultura. Ridiamo e piangiamo allo stesso modo. Gli africani mi hanno insegnato ad avere un rapporto migliore con il passato. Sognare al futuro senza perdere la memoria".
Con sua moglie, la figlia di Ingmar Bergman, state preparando un film biografico sul grande regista svedese. "Ho finito di correggere il testo prima dell'estate, mentre ero a bordo della nave Gaza Flotilla. Durante l'assalto, i soldati israeliani ci hanno portato via borse e oggetti personali, compresa quella sceneggiatura. Per fortuna, avevo una copia in Svezia. Comunque, ho provato a raccontare il prezzo che Bergman ha pagato per esprimere la sua creatività. E' un uomo che ha plasmato la sua vita sull'arte, morendo in estrema solitudine. Sarà un film biografico molto critico, come lo sono stato quando Bergman era vivo e ci incontravamo sull'isola di Farö. Sono convinto che non avrebbe voluto essere ricordato diversamente"." (da Anais Ginori, Henning Mankell, "La Repubblica", 30/10/'10)

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