venerdì 22 ottobre 2010

PulcinoElefante, piccolo grande ditore


"Alberto Casiraghy, tra maschere africane, la targa della casa natale di Garcia Lorca, animali di terracotta e naturalmente un'immagine del PulcinoElefante, come ha deciso di chiamarsi «il più piccolo e grande editore del mondo». Non serve suonare il campanello per entrare nella sua casa-laboratorio a Osnago perché la porta è sempre aperta: soprattutto ad artistie scrittori. La musica classica fa da sottofondo al suono metallico dell'Audax Nebiolo che troneggia nella sala di questo novello Gutenberg che compone ancora con caratteri di piombo e, mentre saluta, inchiostra un aforisma di Dorfles («In futuro non ci sarà più antichità») in poche copie che lì accanto Giovanni Tamburelli acquerella una ad una. I libri del Pulcinoelefante sono così: ogni esemplare è unico perché contiene un disegno originale o foto o scultura (una volta un martello ...). Le tirature sono limitate, circa 30 copie; piccole di formato, solo otto pagine in carta di cotone, prezzo sempre 10 euro: è l'anima minimalista del "pulcino" che si sposa bene con l'"elefante", il grande cuore dell'arte che batte da un trentennio dentro le 8000 opere realizzate, dalla prima lirica di Marco Carrà nell'82 alle formiche, appunto ottomila, disegnate in 44 copie da Emilio Isgrò, uno degli amici ai quali Casiraghy dedica le sue giornate. Li attende, impasta gli ingredienti di segni e parole che gli portano e fa «il panettiere degli editori: l'unico che stampi in giornata», come ha detto Vanni Scheiwiller passandogli il testimone di Alda Merini, conosciuta nel '92 al castello di Belgioioso. Sono più di mille le edizioni con lei, spesso illustrate dai colori su titanio di Pietro Pedeferri. Una fra tutte: «il poeta è un opportunista che riesce a convincere gli altri che vivrà in eterno». L'aforisma è una delle passioni di Casiraghy, «esploratore immobile e bohémien fermo» per dirla con Sebastiano Vassalli. Nel suo antro magico si ascolta l'eco di voci materializzate nelle parole di carta di poeti come Loi o Erba, artisti come Cattelan, stranieri come Ginsberg o Ferlinghetti, detenuti di San Vittore o due vecchi amici come Arturo Schwarz e l'einaudiano Roberto Cerati. I risotti con lui, dopo le visite alla Merini, sono tra i ricordi che Casiraghy custodisce nel suo cuore, come quello rosso di stoffa cucito sul suo cardigan dalla sua Angela: lo rammenta mentre cuoce la pasta accanto a dove stampa. Una porta si apre sul giardino dove razzolano le galline cui dedica l'ironico titolo Dü sciamp allusivo dell' artista ma riferito in dialetto alle due zampe dei pennuti preferiti. Sul tavolo, dopo pranzo, fa posto per rilegare i libretti controllando i caratteri («il Bodoni è il mio preferito»): ne tiene 50 casse, dono di Giorgo Lucini, in una delle altre stanze invase dai librini e da strumenti di quand'era liutaio, prima d'essere assorbito dalla stampa appresa nella tipografia del Palazzo dei giornali di piazza Cavour, quando Montanelli lo chiamava per i titoli della prima pagina. Quindici anni fa rilevò una macchina in liquidazione dovendo abbattere un muro per farla entrare in casa, dove le pareti sono collage della memoria, tra quadri e locandine di mostre dedicategli in giro per il mondo (da Tokyo a New York; ora in Casa Palladio a Vicenza fino al 21 novembre). «Ciò che gli editori sanno dei loro poeti sono solo le virgole» legge da un quadretto appeso. Ma è il tramonto e il piccolo grande editore congeda gli amici con un libretto firmato Munari: «Un bravo stampatore per fare una buona impressione deve avere un ottimo carattere». È il suo ritratto." (da Roberto Cicala, Piccolo grande editore, "La Repubblica", 21/10/'10)

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