lunedì 25 ottobre 2010

Katherine Pancol: Ero infelice, per questo ho successo


"La scrittrice più letta di Francia abita a Neuilly, a due passi dal Bois de Boulogne. «Non potrei vivere in un posto senza alberi, ho bisogno del verde e del parco per camminare e sfogare l’energia». Katherine Pancol, 56 anni, è un’ospite rilassata e piacevole, il suo divano rosso è elegante e comodo, il suo cagnolino Chaussette una presenza discreta. Non si immaginerebbe che i suoi bestseller sono frutto di una continua e spossante attività di riparazione della realtà, cominciata da bambina tra le palme di Casablanca. «Inventavo continuamente delle storie per astrarmi da quel che vivevo, guardavo le altre persone e mi chiedevo "ma loro come fanno?". L’immaginazione e la curiosità sono le doti che mi hanno salvato allora, e che assieme a qualche altro evento fortunato mi hanno reso una scrittrice».
La Pancol fa parte, con Marc Lévy, Guillaume Musso e Anna Gavalda, del gruppo di autori che da qualche anno monopolizzano le classifiche in Francia. Nel mercato editoriale francese i libri che non sfondano vendono meno che in passato, spesso non arrivano a mille copie; i titoli di grande successo invece sono sempre più fenomeni di massa diffusi in milioni di esemplari, e tra questi spicca la trilogia della famiglia Cortès: Gli occhi gialli dei coccodrilli, Il valzer lento delle tartarughe (editi in Italia da B. C. Dalai) e Les écureuils de Central Park sont tristes le lundi, ancora in via di traduzione. Nel primo semestre del 2010 i romanzi corali della Pancol, pieni di intrecci e di protagonisti, hanno fruttato all’editore francese Albin Michel 10 milioni di euro.
Katherine parla del suo successo con la soddisfazione di chi viene da molto, molto lontano, e con la punta di inquietudine che le resta da quando, bambina, temeva che il mondo potesse crollarle addosso da un momento all’altro. I suoi romanzi sono lunghi, perché i personaggi sono tanti e per renderli vivi bisogna descriverli minuziosamente. Ma in tante pagine (848 nell’ultimo libro) non c’è mai un momento di vero scoramento, la vita è ribollio continuo di eventi, emozioni e sorprese. Basta saperle coglierle, e questa è una capacità che si affina in anni di sofferenza. «Lo ha detto Hemingway no? Il miglior sistema per diventare scrittori è avere avuto un’infanzia infelice», dice sorridendo la Pancol. Un padre molto volubile e instabile, la madre non particolarmente affettuosa, e una tremenda insicurezza economica. «È difficile parlarne perché mia madre è ancora viva ... Comunque da bambini io e mio fratello Dominique eravamo immersi in una realtà davvero poco sopportabile. A Casablanca e poi a Parigi raccontavo a lui e ai nostri cugini lunghissime storie nella quali la protagonista Sophie affrontava ogni genere di difficoltà e pericoli. Avevo anche dei luoghi preferiti dove ambientare questo mondo immaginario: l’Île Saint-Louis era perfetta per le vicende avventurose e romantiche. Tutto immaginato nei dettagli fino a essere più vero della realtà».
Forse Hemingway ha ragione ma ci sono importanti eccezioni, come Philip Roth che racconta di avere avuto un’infanzia e un’adolescenza serene, con due genitori responsabili che lavoravano e lo amavano molto. La nevrosi in Roth è scattata comunque, per la paura di una qualsiasi catastrofe che avrebbe potuto rompere in ogni momento quella solidità. «Alla fine non è un atteggiamento molto diverso: si sviluppano delle antenne, un’ipersensibilità che rende la vita di ogni giorno faticosissima, e anche molto, molto ricca. Per questo, qualche tempo fa, ho detto grazie a mia madre. A suo modo e senza volerlo mi ha fatto un dono importante».
Katherine comincia a scrivere come giornalista, prima a "Paris Match" poi a "Cosmopolitan". «Un’altra palestra fondamentale. Mi chiedevano articoli lunghissimi su temi piuttosto vaghi: 15 cartelle su «perché non mi ha richiamato». Oppure «non mi piace mia suocera». Lasciavo andare l’immaginazione e il mio stile è piaciuto molto a un editore, che mi ha chiesto di provare a scrivere un romanzo. L’idea non mi piaceva granché perché preferivo fare la giornalista e stare a contatto con le persone, adoravo fare le interviste e farmi gli affari degli altri. Comunque dopo molte insistenze ho accettato e nel 1980 è uscito Moi, d’abord, per Seuil. Un successo enorme, 300 mila copie e per la prima volta il benessere economico. Mi sono trasferita a New York, la città assieme a Roma dove avevo sempre sognato di andare, e ho fatto la festa. Amici, soldi, serate, il padre dei miei figli. Un periodo meraviglioso, e la prova che il destino non è immutabile».
"Paris Match" le offre poi un contratto di «giornalista-scrittrice»: «Ogni tanto mi chiamavano dicendo "hai voglia di andare a intervistare Ronald Reagan?", oppure Meryl Streep o Sydney Pollack. Lunghi incontri che duravano giorni, nei quali potevo studiare la persona che avevo davanti. Sono stata due settimane in un braccio della morte e poi un mese a seguire la nazionale francese di rugby in Sudafrica ... Una scorpacciata di vita e di emozioni che poi riverso nei miei romanzi». Katherine è anche una grande lettrice: «Credo che sia inevitabile per uno scrittore, Jean Genet è un’altra eccezione. Mi piacciono moltissimo "i morti", in particolare Balzac, e gli anglosassoni: ho trovato eccezionale Olive Kitteridge di Elizabeth Strout».
Per dare ordine al fiume di spunti, la Pancol si è data una disciplina ferrea. «I miei orari si sono formati su quelli dei miei due figli, e sono rimasti gli stessi anche da quando sono grandi: scrivo tutti i giorni e rispetto le vacanze scolastiche. Sono capace di restare anche un’ora a fissare lo schermo ma non mi alzo dalla scrivania, non voglio entrare nella lotta con sé stessi della ricerca dell’ispirazione: il mio è un mestiere metodico». Katherine Pancol ha un quaderno per ognuno dei suoi tanti personaggi: Josephine, cuore della saga, la sorella Iris, la figlia Hortense, eroina delle nuove generazioni e l’amato Gary. «Hortense, ribelle e aggressiva, ragazza determinata, è un modello per molte giovani che mi scrivono. Qualche giorno fa una lettrice mi ha raccontato che è riuscita a strappare un lavoro da Prada immaginando di essere Hortense: ha affrontato il colloquio piena di sicurezza in se stessa, dicendo "io, io, io ...". Certe volte funziona».
Le complicate vicende di Josephine e compagnia tra Parigi, Londra e New York potrebbero andare avanti all’infinito, «certe volte mi sembra che ormai vivano di vita propria, hanno una loro personalità e so già quale sarebbe il seguito della storia. Hortense per esempio, non resterà a lungo con Gary, questo è sicuro. Però avrei anche voglia di passare ad altro, di ricominciare da capo con un nuovo mondo». In ogni caso la trilogia sarà portata al cinema, «stiamo cercando un regista. Ferzan Ozpetek era interessato e a me piace molto, ho adorato il suo Mine vaganti. Ma credo che rispetteremo l’anima della storia e sceglieremo un francese».
Con il grande successo di pubblico si è fatalmente affievolito quello di critica. «Credo sia una condanna inevitabile, soprattutto in Europa dove il successo è visto con sospetto. Non leggo più le recensioni, non per superbia ma perché troppo spesso mi domando "ma chi è questa persona per sentenziare sul mio lavoro?"». Il primo manoscritto di Katherine Pancol è stato letto e approvato da Romain Gary. È stato lui a convincerla che era una scrittrice. «Questo mi ha dato una certa sicurezza che non voglio perdere. E poi, tutto ciò che è appassionante e coinvolgente viene stroncato. L’altra sera sono andata al cinema a vedere Les Petits Mouchoirs, la storia di un gruppo di amici, con Marion Cotillard che è fidanzata del regista Guillaume Canet. Una mia amica critica mi ha chiesto come l’ho trovato: "molto bello, commovente". "Ma no, terribile, banale, commerciale ...", mi ha risposto lei. Ho pensato "ci risiamo"»." (da Stefano Montefiori, Ero infelice, per questo ho successo, "Corriere della Sera", 24/10/'10)

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