sabato 30 ottobre 2010

A cosa servono gli amori infelici


"Lo scrittore più sottovalutato d'Italia. Così Pier Vittorio Tondelli definì a suo tempo Gilberto Severini. Nato nelle Marche, dove tuttora abita svolgendo anche lavoro di artista visuale, Severini sembra in effetti un autore fantasma. Eppure la sua produzione appare nutrita. Ha esordito da Transeuropa con tre romanzi brevi ( Sentiamoci qualche volta, Consumazioni al tavolo e Feste perdute), che compongono la trilogia Partners. Nel 1996 Congedo ordinario, uscito da peQuod, diventa un piccolo caso letterario. Sempre peQuod, nel 1997 presenta la sua unica raccolta di poesie, Nelle aranciate amare e altri refrain. E poi ancora: è del 1998 la raccolta di racconti Quando Chicco si spoglia sorride sempre (Rizzoli, Premio Arturo Loria), del 1999 il racconto illustrato Capodanni (peQuod) e del 2001 il romanzo La sartoria (Rizzoli). Infine, tra il 2002 e il 2005, sempre con peQuod, escono Ospite in soffitta e Ragazzo prodigio, seguiti nel 2009 da Il praticante (Playground). Proprio quest'ultimo editore pubblica ora A cosa servono gli amori infelici. Il lungo elenco rivela una scrittura maturata negli anni, appartata, legata ad alcuni temi ricorrenti e soprattutto votata a un ideale letterario fatto di cura, introspezione, analisi. Insomma, come ha affermato René de Ceccatty, "Gilberto Severini non è uno che ci dica sono moderno". Non a caso, la sua predilezione per la provincia da un lato, quella per gli anni '60 dall'altro, ha fatto pensare a Giorgio Bassani. Tutti questi elementi vengono adesso confermati dall'ultima prova, segnata dalla figura della malattia e dal rimpianto per una giovinezza estranea alle lotte del '68. Nell' estate del 1999, un uomo di cinquantotto anni, impiegato presso una grande azienda, si appresta a subire un delicato intervento chirurgico. Ricoverato in attesa dell' operazione, respinge ogni visita, prende appunti per un libro progettato da tempo, e scrive tre lunghe lettere: la prima a un collega d'ufficio, la seconda a un sacerdote che lo aveva insidiato da ragazzo, la terza a un destinatario anonimo. Nel corso di queste pagine, trasparirà una sorta di astensione dalla vita, avvertita come un destino ineluttabile e doloroso. Tale condanna alla separazione viene sancita da una frase cruciale: «Sai capire i libri ma non sai leggere i sentimenti delle persone neppure quando ti riguardano». Proprio come un analfabeta della passione, l'eroe di questo racconto cercherà di ricostruire i fallimenti che si sono succeduti nella sua esistenza sotto forma di rifiuti alle richieste amorose, tanto maschili quanto femminili. L'anaffettività alla quale egli sembra condannato, può far pensare a un film di Claude Sautet del 1992, Un cuore in inverno. Anche in quel caso, infatti, l'offerta d'amore finiva per essere declinata, lasciando il campo a una sorta di invincibile letargia. A cosa servono gli amori infelici illustra bene questa condanna alla solitudine, cui corrisponde, nelle donne e negli uomini respinti, un profondo senso di gelo. D' altronde, il primo ad essere scontento è lo stesso protagonista, che ricorda la sua giovinezza così: «Trovai il mio lavoro e qualche mese dopo ebbi la certezza che la mia vita sarebbe stata infelice per sempre». Il risultato è una insoddisfazione profonda, che colora di sé tutti i suoi appunti: «Sono nato nel posto sbagliato, portatore di talenti imprecisi». Eppure c'è qualcosa che lo spinge a continuare, nonostante lo scacco di tante relazioni: «La mia non è una gara di sopravvivenza. È l'attesa indecente, data l'età, di una seconda chance». Il problema, sia chiaro, non è l' atto sessuale, neutralizzato, anzi, liquidato dal protagonista nel modo più anonimo: «Cose rapide, cose sordide. Per starmene lontano se non dall'umiliazione almeno dalla passione». Il vero nodo, piuttosto, è costituito da un inverno del cuore che l'amico sacerdote riconosce perfettamente, quando gli spiega: «Dici troppe parole d'aria, e poche di terra. È come se di un paesaggio descrivessi soltanto il vento». È tutto ciò a far sì che questo personaggio (lontano erede del Zeno sveviano) non riesca ad appropriarsi della vita, sostando in una perpetua "nostalgia del presente". Lo si vede bene dal rimprovero di uno spasimante respinto: «Alla fine l'innamorato guarisce, ma sa di aver perduto qualcosa. Un po' del suo slancio e della sua generosità. Anche chi è stato amato ha perduto tesori a sua disposizione di cui forse non ha mai saputo nulla, destinati a scomparire appena l'altro è disintossicato. Quella volta ci siamo impoveriti entrambi, amico mio». Tale meditazione, cruda è mesta, è però attraversata dai barbagli degli aforismi amati dal diarista. Ora è il caso di un paradosso («Anche se dite la verità finirete per essere scoperti»), ora di un'immagine presa da Einstein («La mente è come un paracadute, funziona solo se si apre»), ora di una citazione da Santa Teresa, via Truman Capote («Si versano più lacrime per le preghiere esaudite che per quelle non accolte»). Così Severini alterna con sapienza ricordo, confessione e reticenza in un libro al contempo complesso ed inconsueto." (da Valerio Magrelli, Scoprite Severini: così si fa battere un cuore in inverno, "La Repubblica", 30/10/'10)

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