mercoledì 15 ottobre 2008

Umberto Eco, leggo Manzoni e capisco l'Italia


"La sera andavamo in via Po, ma non ricordo che Umberto Eco parlasse di Manzoni. Piuttosto dei fumetti o dei giornali femminili, tutti argomenti allora esclusi dalle aule universitarie. Non mi sono però sorpreso quando ho letto nelle Sei passeggiate nei boschi narrativi questa impegnativa dichiarazione: 'Il capolavoro della letteratura italiana del XIX secolo è I promessi sposi. Tutti gli italiani, meno pochi, lo odiano, perché sono stati obbligati a leggerlo a scuola. Io debbo ringraziare mio padre, che mi ha incoraggiato a leggere questo romanzo prima che la scuola mi obbligasse, e per questo lo amo'. Non mi sono sorpreso perché nei suoi lavori si trovano infinite tracce della sua passione per Manzoni. Sono trascorsi solo cinquant’anni e Umberto rinnova il suo patto di fedeltà, quasi parola per parola, all’inizio della nostra conversazione. Gli faccio notare che la lettura precoce del romanzo preparava il futuro fondatore della semiotica in Italia: dalle concordanze dei Promessi sposi allestite da Giorgio De Rienzo, 'segno', parola chiave della sua disciplina, ricorre 78 volte. Un autore che afferma, nei suoi Scritti linguistici, che 'Venir su tra i segni, o perire è l’alternativa imposta all’uomo', merita una laurea honoris causa postuma in semiotica. Una lunga e ininterrotta fedeltà a Manzoni. Eco ricorda che nei due anni di gestazione de Il nome della rosa, il titolo provvisorio era Delitto all’abbazia e il sottotitolo Storia italiana del secolo XIV, palese ricalco di quello dei Promessi sposi, Storia milanese del secolo XVII. E poi: Il nome della rosa inizia, subito dopo il frontespizio, con quel titolo. Naturalmente, un manoscritto che allude al 'dilavato e graffiato autografo' da cui trae pretesto il romanzo di Manzoni. Siamo qui a un punto nodale, come sottolinea Eco. E’ un primo esempio di quel 'double coding' che i critici hanno rilevato nel suo lavoro di romanziere, insieme alla metanarratività, al dialogismo (i testi si parlano tra loro) e l’ironia intertestuale. Il concetto di 'double coding' è stato coniato nel 1977 (tre anni prima de Il nome della rosa) da Charles Jencks: 'L’edificio o l’opera d’arte postmoderna si rivolgono simultaneamente a un pubblico minoritario di élite usando codici alti, e ad un pubblico di massa usando codici popolari'. Ci sarebbe poi quell’altro romanzo di Eco, L’isola del giorno prima, dove l’assedio di Casale del 1630, evocato nei Promessi sposi, è raccontato dal punto di vista degli assediati, quasi un backstage di quello manzoniano. Ma l’omaggio maggiore di Umberto Eco al capolavoro manzoniano è ancora un altro. Eco ha progettato dal gennaio al maggio 1986 a Bologna un ciclo di conferenze di vari autori sul tema La semiotica dei Promessi sposi pubblicate poi nel volume Leggere i Promessi sposi. In effetti si tratta di un ribaltamento radicale. Nella sua conferenza introduttiva, Semiosi naturale e parola nei Promessi sposi, Eco ha rilevato un’opposizione radicale interna al romanzo: 'C’è una semiosi naturale, esercitata quasi istintivamente dagli umili dotati di esperienza, per cui i vari aspetti della realtà si presentano come sintomi, indici e c’è la semiosi artificiale del linguaggio verbale il quale o si rivela insufficiente a rendere conto della realtà o viene usato con malizia per mascherarla, quasi sempre a fini di potere'. E aggiunge: 'Di regola nel romanzo il linguaggio è portatore di vento se non di tempesta'. Nel suo saggio Eco riconosce a Manzoni il 'buon senso illuministico'; gli domando se l’etichetta potrebbe andare bene anche per lui. Ride: 'Più a me che a lui'. In un’epoca in cui l’arte e la malattia viaggiano appaiate, per me Umberto Eco è la salute, fisica e mentale, ma non oso dirglielo. Aleggia nella nostra conversazione il tema della perenne attualità dei Promessi sposi, in quanto regesto delle costanti del carattere degli italiani. Gli ricordo che nella già citata terza passeggiata nei boschi narrativi scrive: 'Don Abbondio che si rigira le dita nel colletto e si chiede "che fare?" rappresenta in sintesi la società italiana del XVII secolo sotto la dominazione straniera'. E poi aggiunge: 'L’indugio di Manzoni sull’incertezza di don Abbondio spiega molte cose, e non solo sull’Italia del XVII secolo ma anche su quella di oggi'. Già. Siamo tutti qui che ci giriamo le dita nel colletto e ci chiediamo 'che fare?'. E se provassimo a leggere la peste finanziaria facendoci aiutare dal racconto di quell’altra peste? Con l’ostinazione a non voler cogliere fino all’ultimo i segnali di pericoli, con la caccia agli untori (i mutui sub prime? Il perfido Profumo?). La lunga fedeltà a Manzoni non si è esercita solo sul prosatore ma ha investito anche il poeta. Nel capitolo 'Il segno della poesia e il segno della prosa', nel volume Sugli specchi e altri saggi, Eco, per spiegare la differenza fra poesia e prosa si applica a un illuminante studio delle varianti dell’inno sacro La Pentecoste, dimostrando che le scelte e gli scarti sono stati determinati non dai contenuti ma dall’esigenza di rispettare le regole formali: eppure si trattava di una poesia teologica! Infine, non poteva mancare quello che per uno come Eco è il supremo omaggio a un autore amato: la parodia. Andiamo a leggere, ne Il secondo diario minimo, l’inno sacro apocrifo La gnosi, frutto di trascorsi gnostici del Manzoni, ignorati finora:

Madre del fango, immagine
di deiezion superna,
di mota incorruttibile
conservatrice eterna,
tu che da tempi incogniti
ti generi e dispieghi,
tu che non levi prieghi
all’Uno che ristà ...

Domando a Eco se, nella scia di Manzoni, non è mai stato tentato dal demone della riscrittura dei suoi testi narrativi. Ride: 'No, Manzoni è uno scrittore stitico, io sono uno scrittore diarroico'. Mentre parla il mio sguardo vaga lungo lo scaffale della libreria domestica dove sono allineati i suoi volumi e mi verrebbe da dire: 'Be’, effettivamente ...'. Rievochiamo infine le disgrazie del Manzoni editore delle varie versioni del suo romanzo, piratato in Italia e fuori d’Italia oltre ogni immaginazione. Qui entra in gioco l’Umberto Eco bibliofilo: l’edizione ventisettana dei Promessi sposi si trova al mercato antiquario a 10 mila euro, della quarantana, illustrata dal Gonin e finanziata in toto dal Manzoni, sono rimaste invendute migliaia di copie e se ne trovavano ancora sulle bancarelle qualche decennio fa. Se fossimo alla ricerca di un martire per farlo santo patrono della Siae, non avremmo dubbi: è lui, il nostro Alessandro." (da Bruno Gambarotta, Umberto Eco, leggo Manzoni e capisco l'Italia, "La Stampa", 15/10/'08)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Manzoni è come la bibbia dell'Italia odierna: contiene già tutto. Così come l'Iliade fu la bibbia del popolo greco antico. Non a caso l'Iliade è così presente nei Promessi sposi, a cominciare dall'inizio: un prete intimorito dal potente di turno, per un capriccio. Agamennone vuole Criseide così come Don Rodrigo Lucia. michele armenia