mercoledì 29 ottobre 2008

La malattia del'infinito di Pietro Citati


"In una nota pubblicata al termine della Malattia dell’infinito, Pietro Citati esprime il dubbio di avere scritto troppo: 'Un giorno ho calcolato che tutti i miei saggi e articoli occupavano lo stesso spazio della Comédie humaine di Balzac; conclusione che mi ha coperto di rossore e di vergogna'. Ne accenno, non per aderire alla malinconica riprovazione dell’autore, ma per la testimonianza, offerta in modo inusuale, sulle sue sterminate letture, sottese alle pagine scritte che spaziano con lo stesso fervore dal classico al moderno. Nella Malattia dell’infinito l’autore ha ritagliato, tra i tanti, una serie di articoli e saggi sulla letteratura del Novecento. Basta scorrere l’indice per avvertire che egli ama misurarsi con i grandi. E non a caso apre il volume con Joseph Conrad e il suo Lord Jim, protagonista dell’omonimo romanzo. Il giovane marinaio, che ha affrontato la vita con la baldanza di un romantico sognatore, deve presto disilludersi: dopo avere abbandonato al suo destino una nave in avaria carica di pellegrini, non riesce più a liberarsi dal senso di colpa che lo rende disertore e straniero al mondo, vittima di potenze maligne, di una solitudine che non conosce luce di salvezza. E’ un sentimento - la consuetudine con le tenebre, il rovello di una inattingibile, sovrumana purezza - che percorre, senza esaurirla, tanta parte della letteratura novecentesca. Ma non conviene al lettore perdersi tra i nessi sottili che uniscono libri molto diversi; quanto abbandonarsi piuttosto al profilo di ogni singolo scrittore, offerto dalla personalità indivisa di Citati saggista, critico, narratore. Ciascuno scelga i suoi, si tratti, tra gli stranieri, di Joseph Roth o di Nabokov, di Karen Blixen o Flannery O’Connor, di Borges o di Salamov ... Fermiamoci agli italiani, rappresentati nel libro con dovizia. Ecco Lampedusa: al di là dei più appariscenti riferimenti storici, il Gattopardo è 'una delle più profonde e fastose, leggere e felici contemplazioni della morte che l’Occidente abbia mai concepito'. La solitudine di Anna Maria Ortese è quella 'senza gesto e senza parola dell’animale condannato, che si chiude nella sua tana e non vorrebbe più uscirne: la solitudine di Kafka'. Fenoglio e il Partigiano Johnny dopo la cacciata da Alba: 'La natura si trasforma: non sappiamo se stia agonizzando, giunta alla fine del tempo, o assalga ferocemente l’uomo, divenuto il suo principale nemico'. Nelle Città invisibili, che Citati considera il capolavoro di Calvino, 'la ragione diventa più umbratile e lussureggiante della fantasia e la fantasia ha il rigore e la nitidezza dell’intelligenza: mirabile esempio di come, nella grande arte, meditazione e immaginazione si fondano'. Quando parlo di Citati narratore, penso in particolare a certi tratti in cui sono rievocate le figure di amici carissimi. Ad esempio, quando si trova al capezzale di Gadda vicino a morire e gli legge il capitolo manzoniano sulla 'notte degli inganni': 'Disteso sul letto, con la testa rialzata sui cuscini, Gadda rideva sussultando nel suo grande corpo moribondo-il riso, che tante volte lo aveva salvato'. Graffito invece di perfidia, lo stupore di Fruttero e Lucentini, fresche reclute di via Biancamano, quando sentono il misterioso profumo che intride la casa editrice: 'Non era ... il profumo di una grande cortigiana francese degli anni Venti o Trenta. Era il profumo personale di Giulio Einaudi. Cinque minuti dopo, il profumo venne interrotto, quasi spezzato e violato fisicamente, da una voce gracchiante, ironica, arrogante, nutrita di noncurante disprezzo. Era la voce di Giulio Einaudi'. Ma è anche nell’esercizio più propriamente critico che la prosa di Citati si fa racconto, intrecciando la vita dell’autore e la vita dei suoi personaggi, esponendoli a una disamina appassionata. Citati ha bisogno di accendere la sua immaginazione nell’attrito con altre creazioni letterarie: è il suo modo di corrispondere all’unico, grande e fluente libro, che l’umanità ha affidato ad amanuensi e portavoce particolarmente dotati. La sua aderenza, la sua disposizione all’ascolto è così forte che egli finisce per immedesimarsi e scendere in gara con gli autori amati, quasi a ripeterne i gesti ed entrare nelle viscere della loro scrittura. Che resta tuttavia avvolta nel velo di uno stile immaginoso e sensuoso, alla fine impossessante, che è soltanto suo: a colpo d’occhio, color Citati." (da Lorenzo Mondo, Il lume di Citati sul tenebroso '900, "TuttoLibri", "La Stampa2, 25/10/'08)

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