venerdì 31 ottobre 2008

Il fantasma esce di scena di Philip Roth


"Il test è infallibile. A metà serata, quando si decide di ritirarsi a leggere, può capitare per un attimo di chiedersi quale sia il libro che si è iniziato. E come affiora il titolo, sappiamo subito se si tratta di affrontare una salita o una discesa. Questa settimana, mi è successo addirittura di pensare durante il giorno al momento in cui avrei potuto riaprire Il fantasma esce di scena di Philip Roth. Un capolavoro? Un'abile opera di intrattenimento? Un ennesimo livre à scandale? Non a chi spetti l'ardua sentenza. Di sicuro è una storia che 'prende', e visto che siamo a una svolta nella carriera di Roth, sarà il caso di chiedersi il perché. Protagonista il suo alter ego di sempre, Nathan Zuckerman. Un personaggio che è un ghost writer, cioè quella parte di sé a cui Roth ha sempre affidato il compito di parlare della propria vita e dei propri pensieri, concedendosi però il lusso di prendere le distanze da tutto e di prenderci anche un po' in giro. Il grande tema della sua narrativa, infatti, più che il teatro del mondo è l'esplorazione del proprio io. E tuttavia Roth non è uno scrittore di quelli che si chiamano confessional. Non cerca la complicità del lettore. Parla continuamente di sé ma scompare dietro la maschera di infiniti personaggi. E' uno, nessuno e centomila. Chi sia Roth in realtà - a parte il fatto che non sarebbe affar nostro - lo si può capire dalle sue ormai rare interviste. Ma noi, a nostra volta, siamo liberi di non credergli. Ci bastano i suoi libri. Nell'ultimo romanzo, 'exit ghost', è una didascalia teatrale. Si spengono le luci, e nell'aria - cioè nella memoria dello spettatore - rimane solo coem un'eco, la labile traccia di ciò che hanno detto gli attori: quello che Borges, parlando dell'opera di Shakespeare, ebbe a definire come 'un sogno sognato da nessuno'. [...]" (da Luigi Sampietro, Il ruggito del fantasma, "Il Sole 24 Ore Domenica", 26/10/'08)

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