sabato 11 ottobre 2008

Paesaggi sublimi. Gli uomini davanti alla natura selvaggia di Remo Bodei


"Alla fine del Novecento 'sublime' divenne una parola di uso comune. Tutto era sublime: la pasta alla carbonara, l'interpretazione pianistica di Michelangeli, la sequenza di un film di Kubrick, il tramonto alle Seychelles, l'abito indossato da Claudia Schiffer, la mostra su Tiziano. Il sublime innestava pensieri alati e a buon mercato. Poi il mercato si inflazionò. E oggi, davanti alle cupe vicende che avvolgono, o meglio stritolano il pianeta, quella parola è stata socialmente interdetta. Cosa c'è di sublime in ciò che viviamo, ascoltiamo, leggiamo, guardiamo? Eppure una storia lunga e appassionante ne avvolge l'idea. Con gradevolezza e sapienza Remo Bodei ne ricostruisce il percorso in un libro che intreccia l'aspetto filosofico con quello letterario e artistico. Si può dire che il sublime nasca dall'incontro tra qualcosa che appartiene al mondo naturale e il soggetto che ne vive con insolita intensità ed emozione l'impatto. Bodei descrive alcuni luoghi (il locus horridus) ormai classici grazie ai quali questa condizione eccezionale viene prodotta. Sono le montagne, gli oceani, i vulcani, i deserti, le foreste a suscitare nell'uomo sia un senso di terrore che un desiderio di sfida. L'ascesa impervia di un monte, la navigazione perigiliosa in un mare in tempesta, la traversata estenuante di un deserto, consentono di mettere alla prova quei valori e quelle forze di cui è dotato l'individuo. Provocando, tra l'altro, sensazioni emotive che solo la letteratura e la pittura riescono a rappresentare. Non a caso il sublime, dal Settecento in poi, diventa soprattutto una categoria estetica. Burke e Kant tendono a separarla dalla nozione di bello. Nell'antichità il sublime era confinato alla retorica e alla letteratura. La modernità, ponendo l'individuo al cospetto delal natura, ne esalta le potenzialità emotive. Ma se nel mondo antico il sublime produce in chi lo vive un senso per lo più di gioia e di pacata grandezza, a partire dal secolo XVII si assiste a una netta inversione di tendenza. perché la natura diviene fonte di inquietudine, di spaesamento, di paura? Alle spalle di questi sentimenti c'è un ripensamento della centralità dell'uomo. Egli ha smesso di essere la creatura privilegiata dell'universo. La rivoluzione copernicana spezza il rapporto verticale tra l'individuo e dio, gettando l'uomo in una sorta di turbamento, ma al tempo stesso offrendogli la possibilità di affrontare una nuova partita le cui regole sono interamente da riscrivere. Ma anche il sublime naturale è destinato a tramontare. Quell'impatto capace di scatenare emozioni fortissime si trasferisce dalla natura alla storia. Dal Kant del 'cielo stellato' si passa a Hegel che svaluta l'ordine naturale ed esalta il movimento della storia. E' solo in essa (come si ricava dalla Fenomenologia dello Spirito) che si realizza il destino sublime delle potenti individualità e dei grandi eventi (Napoleone e la battaglia di Jena). E oggi? Le nostre società di massa lasciano sempre meno spazio all'azione individuale (e imprevedibile). La natura non ci spaventa più (anzi nei suoi confronti stiamo sviluppando un senso di colpa), la storia ci coinvolge e ci esalta sempre meno (si tende a cancellare il passato). Ma lungi dallo scomparire, il sublime tende a occupare il luogo dove di solito alberga la banalità. Tende a confondersi con il kitsch. Affiora in certi format televisivi (l'impervio e finto stato di natura delle isole dei famosi, i set di sopravvivenza, le agnizioni tra parenti che non si vedono da sessant'anni), nel turismo di massa, o in selezionati messaggi pubblicitari. Tutto ciò mostra che l'uomo non ha mai smesso di provare emozioni, anche quando queste sembrano frutto di una regia totalmente esterna all'individuo." (da Antonio Gnoli, Com'è sublime quel format, "Alamanacco dei libri", "La Repubblica", 11/10/'08)

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