venerdì 10 ottobre 2008

Jean-Marie Le Clezio


"Il Nobel per la letteratura 2008 è stato assegnato ieri al francese Jean-Marie Gustave Le Clézio, 68 anni, 'autore di nuove sperimentazioni, avventure poetiche e estasi sensuali, esploratore di un’umanità dentro e fuori la civiltà imperante', come si legge nella motivazione. Il premio (un assegno di 10 milioni di corone svedesi, pari a 1,02 milioni di euro) gli sarà consegnato il 10 dicembre a Stoccolma. Rispettati quindi i pronostici della vigilia, anche se il vincitore assicura che non se lo aspettava: 'Quando mi hanno telefonato dall’Accademia stavo leggendo un libro', ha detto. Aggiungendo che in ogni caso sarebbe andato a letto presto. Venticinque anni dopo Claude Simon, il Nobel per la letteratura torna alla Francia con Jean-Marie Gustave Le Clézio. La scelta, dopo un quarto di secolo, è coerente. Sessantotto anni, nato a Nizza da famiglia bretone-mauriziana, Le Clézio era - per età e per 'ampiezza' - il solo francese oggi premiabile. L’altro sarebbe stato Philippe Sollers, il quale però è caratterialmente inadeguato. Le Clézio, eterno ragazzo della letteratura transalpina, è invece dal punto di vista politico e civile lo scrittore degno per eccellenza. Recentemente, rispondendo a un intervistatore che gli chiedeva che cosa avrebbe detto se mai avesse dovuto vincere il Nobel, rispose che avrebbe parlato dei bambini uccisi dalla guerra. Coerenza con Claude Simon: quando esordì, ventitreenne nel 1963 con Il verbale (libro che gli valse il Prix Renaudot, tradotto da Einaudi), il contesto culturale era quello della scrittura sartriana e del nouveau roman robbe-grillettiano. Le Clézio parve in linea con le esigenze di una letteratura che, husserlianamente, cercava di trovare nel romanzo un nuovo rapporto tra l’uomo e il mondo. Disse allora che il suo metodo consisteva nell’andare in un posto, che fosse il centro di una città la riva del mare o il deserto, sedersi, guardare e poi dipingere con le parole quello che vedeva. Qualche anno dopo, qualcuno avrebbe scritto che la sua era una penna-camera, una scrittura cinematografica. Con il tempo, però, le categorie note hanno smesso di funzionare per lui. Aveva bisogno di uno shock fisico per cessare di essere 'puramente cerebrale' e lo trovò viaggiando, allontanandosi dalla società occidentale che lo costringeva al disagio. Scoprì il Messico, visse tra gli amerindi, trasformò anche il modo di scrivere sperimentando un nuovo modo di sentire. Per qualcuno che si era formato su Michaux e Lautréamont, sommi viaggiatori della penna della mente e del corpo, quell’espatrio rappresentò insieme un ritorno alle origini e una liberazione. Gli Emberas, popolazione indiana della foresta, gli avevano svelato un rapporto uomo-mondo alieno dai pregiudizi e slegato dal principio d’autorità, politica o religiosa che fosse. Certa critica lo accusò allora di aver optato per un semplicismo naïf, o anche di essere caduto in una trappola non meno rischiosa del razionalismo, il mito del 'buon selvaggio'. Con il garbo e la riservatezza che lo tengono lontano sempre e comunque dalla rissa mediatica, Le Clézio respinse queste interpretazioni: né buoni né selvaggi, gli indiani incarnavano per lui altri criteri rispetto a quelli occidentali, valori diversi. Ed è stato proseguendo questo percorso di conoscenza che Le Clézio ha abbordato poi una narrazione più personale, nella quale la storia della sua famiglia viene a congiungersi con l’esperienza del viaggio, dell’avventura. Stevenson e Joyce sono i suoi romanzieri preferiti, dice, perché 'la letteratura è forte quando riesce a esprimere le prime sensazioni, le prime esperienze, le prime idee'. Oltre che romanziere, Le Clézio è prolifico autore di racconti, fiabe e saggi. In Italia Instar Libri ha recentemente pubblicato L’Africano, libro dedicato al padre, e Il continente invisibile, alla scoperta dell’Oceania. A ritroso, erano stati in precedenza tradotti Diego e Frida, Stella errante e Le due vite di Laila dal Saggiatore, Onitsha, Il cercatore d’oro e Deserto da Rizzoli e Il sogno messicano da Mondadori." (da Gabriella Bosco, Le Clézio francese globale, "La Stampa", 10/10/'08)
"Nobel award restores French literary pride" (da Guardian.books)

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