"La nostra ombra ci segue, implacabile (come un antico rimorso), ma a volte addirittura ci precede: come sperimenta un passante che transita di notte sotto il cono di luce d'un lampione, e vede la sua ombra ingigantita precederlo sul muro di fronte, molto più rapida del suo passo. A volte l'ombra si affretta, più veloce addirittura della luce, limite estremo della nostra conoscenza del mondo fisico, come avviene al tramonto o in certe circostanze durante delle eclissi e in alcune regioni, quando l'ombra proiettata dalla Luna sulla Terra viaggia a migliaia di chilometri all'ora.
Un paradosso? No, una realtà che mette in discussione la nostra percezione e il nostro modo di misurarla e interpretarla, ammonisce l'epistemologo e fisico francese Jean-Marc Levy-Leblond nel suo ultimo libro - La velocità dell'ombra. Ai limiti della scienza (La vitesse de l'ombre. Aux limites de la science) - edito in Italia da Codice Edizioni. [...] E perciò le scienze (non se ne può più parlare al singolare) appaiono oggi separate dall'uomo 'qualunque' e vengono vissute come depositi di saperi arcani e accessibili solo ad iniziati, perché fondate sulle supreme facoltà umane, la ragione e la logica, virtù faticose che ci costringono a fare continuamente i conti con la facile 'imago mundi' succhiata col latte materno e che ci conforta nella nostra pigrizia e che ha un rapporto molto problematico e spesso fuorviante con ciò che chiamiamo 'reale'. [...] E sarebbe proprio la lontananza di ogni linguaggio specializzato dalla realtà esistenziale del cittadino a spiegare la crisi di massa delle conoscenze scientifiche, che si traduce anche nello scarso interesse dei giovani verso le facoltà scientifiche non solo in Italia e quindi la scarsa acculturazione scientifica di massa (non solo da noi: Levy-Leblond riporta in proposito i risultati di una inchiesta francese sull'argomento). [...] Ma il problema non consiste nel fatto che la gran parte dei cittadini non conosca le tavole dei logaritmi o noiose faccende del genere (e se non gli servono, perché mai dovrebbe saperle?) ma in qualcosa di più generale: l'assenza complessiva di cultura, il disinteresse verso la conoscenza che la nostra specie ha accumulato nei millenni, che si traduce non solo in una incapacità di risolvere equazioni alle derivate parziali o conoscere cosa siano i legami di covalenza, ma di sapere cosa queste conoscenze significhino, perché siano state faticosamente elaborate nei secoli, ma principalmente in una passività intellettuale e nella incapacità di produrre idee. Mentre i paesi che sono all'avanguardia tecnologica (ad esempio quelli del nord Europa) sono anche quelli dove hanno eguale dignità le cosiddette discipline umanistiche, dove si studia con eguale impegno, accanto ai saperi scientifici, latino, greco, poesia, filosofia, letteratura, arte. Insomma, dove non c'è pericolo di produrre uomini a una dimensione e anzi la soluzione di 'rompicapo' scientifici sia invece favorita da un respiro culturale più ampio, precondizione per la produzione di idee e soluzioni. E quindi, per non farci raggiungere dall'Ombra, occorre che tutti i saperi cooperino contro la separatezza, l'arroccamento egocentrico. Perciò tutte le forme di conoscenza (da quelle artistiche o mitologiche alle scienze hard e persino alle tecnoscienze) contribuiscono a tracciare l'esile e incerta mappa del percorso verso il Reale. [...] E forse così fornendo all'uomo altre più veloci misure per afferrare il Reale, e sopravanzare l'ombra e farci sentire non solo abitanti, ma anche parti costituenti del mondo." (da F. Prattico, Com'è veloce l'ombra. La scienza e i suoi paradossi, "La Repubblica", 07/01/'08)
"Conférence: Mots et Maux de la Physique par Jean-Marc Levy-Leblond" (da canalc2.tv)
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