"Il fenomeno non è nuovo, ma negli ultimi tempi ha registrato un notevole incremento; qualcuno lo chiama 'cannibalismo', ma non si capisce 'chi' mangia 'cosa'. Il cinema che divora la letteratura o viceversa ne è divorato? Un'occhiata ai film in sala (e ai festival) può esserne conferma: da I vicerè di Faenza all'ultimo lavoro di Coppola tratto da Mircea Eliade, sono innumerevoli le pellicole che ricavano ispirazione e nutrimento dalle opere letterarie [...]. E per la prossima stagione sono già al lavoro i registi Grimaldi e Ozpetek, il primo su Caos calmo di Veronesi e il secondo su Un giorno perfetto di Mazzucco.
A ricordarci che è una storia antica e controversa provvede una densa raccolta di saggi di Caterina Selvaggi, Lo sguardo multiplo. Cinema e letteratura in Bellocchio, Benigni, Bergman, Bertolucci, Dardly e Pasolini (Franco Angeli, 2007), che attraverso alcuni grandi come Bellocchio e Benigni, Bergman e Bertolucci, Dardly e Pasolini ripercorre, con una strumentazione anche psicoanalitica, quella relazione 'parallela' e 'contigua' già segnalata da Sklovskij nei tardi anni Venti. La storia del cinema è caratterizzata dalla migrazione della letteratura verso il grande schermo. Se l'impasto in alcuni casi è noto al grande pubblico - Via col vento o Ben Hur - può sorprendere che un western come Ombre rosse sia stato ispirato da Maupassant, segno dell'autonomia del codice cinematografico. Per spiegare in cosa consista la 'contiguità' tra i due linguaggi - narrativo e filmico - la Selvaggi ricorre alla categoria della visione, dello 'sguardo multiplo', come suggerisce il titolo del volume: la capacità di andare oltre il 'visibile conosciuto e presunto' che accomuna le due modalità espressive. Il regista e lo scrittore come 'segretari dell'invisibile', secondo un'efficace definizione del Nobel Coetzee. E forse non è un caso, ci ricorda l'autrice, che il cinema nasca proprio quando la letteratura a cavallo tra Otto e Novecento frantuma il suo sguardo per accogliere l'irruzione dell'inconscio e dell'irrazionale. L'espion è colui che guarda spianando, come il narratore della Recherche proustiana. Ed espion - sembra suggerire Caterina Selvaggi - è anche il regista: l'inquadratura utilizzata come confine del desiderio." (da S. Fiori, I segretari dell'invisibile, "La Repubblica", 28/11/'07)
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