lunedì 8 agosto 2011

Scienziate d'Italia


"L'Italia vanta la prima donna laureata del mondo moderno, Elena Cornaro Piscopia, e la prima docente di scienze d'Europa, Laura Bassi. Vissute nel XVII e nel XVIII secolo, sono però rimaste un'eccezione: acclamate e sostenute dai loro contemporanei - fossero padri, maestri, colleghi - non hanno avuto discepole. L' involuzione della società italiana è stata rapida e duratura. Solo nel 1874 le donne sono state riammesse alle scuole pubbliche, e ancora più tardi all'università.
E non solo in Italia: all'inizio del XIX secolo la francese Sophie Germaine - che già aveva dato prova di eroismo, studiando di notte di nascosto dai genitori che l' avevano rinchiusa in casa per tenerla lontana dalla matematica - poté frequentare l' École Polytechnique solo assumendo l'identità maschile di uno studente che aveva lasciato Parigi. Per tutto l'Ottocento, pregiudizi pseudoscientifici sull' inferiorità intellettuale delle donne le hanno tenute lontane dagli studi, e ancor più dalle scienze "dure": la matematica, la fisica, la chimica. Quelle poche che a esse hanno dedicato talento, idee, a volte la vita, sono scomparse dalla memoria collettiva, come del resto tante che hanno contribuito alla storia e alla cultura del nostro paese. Con l'eccezione di Rita Levi Montalcini, unica insignita del premio Nobel, e di Margherita Hack, i loro nomi sono ignoti, o conosciuti da pochi. Scienziate d'Italia, il volume di Elisabetta Strickland, docente di algebra all'università di Tor Vergata, appena pubblicato da Donzelli, vuole rimediare a questo oblio. Ma mentre traccia una mappa del secolo trascorso, Strickland - animatrice di svariate iniziative sulle problematiche di genere - si interroga anche sulla situazione presente. Perché ancora nel 2011 le donne - ormai presenti in ogni campo della ricerca scientifica - faticano (tranne rari casi che raccontiamo a parte, n. d. r.) a raggiungere posizioni apicali nei centri di ricerca e nelle università.
Il volume è una mini enciclopedia: 19 schede biografiche in ordine alfabetico - da Giuseppina Aliverti, fisica napoletana, a Pierina Scaramella, botanica di Parma. La lettura delle loro vite - fruibile anche da chi ignora cosa sia il comportamento dei mesoni neutri K, la fotogrammetria, le curve di diramazione dei piani multipli delle superfici algebriche o l'esistenza della limnologia - smantella numerosi luoghi comuni. La scienziata italiana non è uno stereotipo. È un individuo, con la sua unicità, la sua personale battaglia, i suoi traguardi. A smentire ogni razzismo o determinismo, la geografia e la religione contano meno della famiglia di origine: ebree, cattoliche o atee, le scienziate sono nate al nord (come le matematiche Maria Cibrario, genovese, o Cornelia Fabri, ravennate), ma anche al sud e nelle isole (come la matematica palermitana Pia Nalli), in metropoli come Torino, Napoli, Roma, o in piccole città di provincia. Quasi tutte, invece, poiché lo stimolo e l'esempio dell'ambiente influiscono molto sulla formazione e sulle ambizioni e l'ascensore sociale da noi è fermo, provengono dalla borghesia colta, da famiglie di studiosi e professori (come la chimica Filomena Nitti, figlia dell'economista e ministro o la matematica Margherita Beloch Piazzolla, figlia di un illustre storico). Anche il rapporto con il cosiddetto destino biologico delle donne è ininfluente: le 19 sono state mogli di studiosi e madri o sono rimaste celibi, dedite alla ricerca e all'insegnamento. Ognuna ha costruito la propria vita come ha potuto e, talvolta, come ha voluto.
Tra le tante donne caparbie, tenaci, talvolta sconfitte, più spesso vissute abbastanza da cogliere il frutto della propria fatica, ne ricorderò due: la zoologa Enrica Calabresi e la botanica Eva Mameli. Il loro destino opposto è emblematico. Nata in una colta famiglia ebrea ferrarese nel 1891, Enrica si laurea in scienze naturali con una tesi dal titolo fascinoso: Sul comportamento del condrioma nel pancreas e nelle ghiandole salivari del riccio durante il letargo invernale e l'attività estiva. Studiosa di coleotteri, rettili, anfibi, diviene responsabile del Museo della Specola, e poi professore di entomologia all'università. Riservata, timida, indipendente, vive per sapere e insegnare. Le leggi razziali del 1938 la privano dell'incarico, ma non della passione per la conoscenza. Non emigra, resta a Firenze, per insegnare agli alunni ebrei espulsi dalle scuole pubbliche. Arrestata nel 1944 per una delazione, viene rinchiusa a Santa Verdiana, da dove sarebbe stata inviata ad Auschwitz. Ma non ci arriverà mai: si uccide con una fiala di veleno. Qualche anno fa, Paolo Ciampi ha ricostruito la sua figura dimenticata nella biografia Un nome (Giuntina, 2006).
Eva Mameli, nata a Sassari nel 1886, laureata in scienze naturali, è la prima italiana a ottenere la libera docenza di botanica, nel 1915. Rigida e severa, si consacra alla ricerca. A trentaquattro anni, però, rivoluziona la sua vita: si sposa e segue il marito, genetista dei vegetali, a Cuba, dove vive felicemente cinque anni tra le piante tropicali, per tornare poi in Liguria, allestire a Sanremo una stazione sperimentale di floricoltura e diventare una pioniera della conservazione della natura. Qualcuno di noi avrà incontrato fuggevolmente l'austera Eva nelle biografie di Italo Calvino: era infatti sua madre. Ma questo, pure notevole, non fu il suo unico merito. La lettura del volume di Strickland - purtroppo assai breve, ma i matematici possiedono il dono della sintesi - mi offre ancora due considerazioni. Quasi tutte queste donne di straordinario intelletto hanno avuto una lunghissima vita. Hanno continuato a lavorare anche a ottant'anni, godendo di una vecchiaia intellettualmente creativa, fertile, felice. La ricerca, evidentemente, fa bene alla salute. E, a cancellare l'ultimo luogo comune che vuole scienza e letteratura come due mondi non comunicanti, le nostre più celebri scienziate, Rita Levi Montalcini e Margherita Hack, prima di dedicarsi alla neurobiologia e all'astrofisica, hanno esitato: Hack si iscrisse alla facoltà di lettere, Levi Montalcini progettava un romanzo. Hanno scelto diversamente e, a giudicare dai risultati, hanno scelto bene. Ma forse la letteratura italiana ha perso due grandi scrittrici. L'inverso, finora, non è dato." (Melania Mazzucco, Le madri della scienza, "La Repubblica", 05/08/'11)

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