mercoledì 24 agosto 2011

Bibliomania


"Nella fantasia degli scrittori qualche volta è successo di immaginare che si potesse uccidere per un libro. Nella storia, o nella cronaca, non pare siano rintracciabili episodi del genere. È però un’idea che piace molto ai giallisti, a quelli almeno che amano mettere biblioteche, librerie e librai nelle loro trame, fedeli al principio enunciato da Edgar Allan Poe quando, nel primo vero giallo della storia - correva l’anno 1841, e si trattava dei Delitti della rue Morgue - dovette presentare ai lettori il suo detective, Auguste Dupin, e non resistette alla tentazione di confessare subito che «l’unica sua debolezza erano i libri».
Ma c’è una vicenda di poco precedente, a lungo ritenuta vera, che già nel 1836 ispirò un delizioso e malnoto incunabolo della bibliomania criminale: un breve racconto del giovane Flaubert, scritto a quindici anni e pubblicato nel ’37, Bibliomania (MobyDick). Racconta di Giacomo, un libraio di Barcellona, ex monaco, che «sapeva a stento leggere». Infatti «non era il sapere che amava, era la sua forma e la sua espressione; amava un libro perché era un libro, amava il suo odore, la sua forma, il suo titolo». Giacomo è divorato dall’amore per i volumi di pregio: quelli preziosi, unici, rarissimi li vorrebbe tutti per sé. È antipatico soprattutto agli altri librai, che si coalizzano per sconfiggerlo alle aste, impedendogli anche solo per divertimento di conquistare i pezzi più bramati. Vinto dalla frustrazione, si risolve così a uccidere per ottenere ciò che desidera. Non esita a gettarsi nel fuoco (e cioè nella casa in fiamme del suo rivale, il libraio Baptisto) per strappare al rogo una Bibbia, la prima stampata in Spagna, che ritiene assolutamente unica.
La conquista, ma firmerà la propria condanna. Verrà accusato di essere lui l’incendiario, oltre che di aver ucciso altre due persone. Dalla prima imputazione potrebbe difendersi, ma quando l’avvocato, con un gesto teatrale, estrae dalla toga un oggetto che potrebbe rappresentare la salvezza dell’imputato, il libraio vede il mondo crollare per davvero, e rovinosamente, su di sé. Si tratta di una seconda Bibbia in tutto e per tutto eguale a quella scomparsa dall’edificio in fiamme e ritrovata poi a casa di Giacomo. Potrebbe essere una prova di innocenza, ma per lui è inaccettabile.
L’imputato non vuole ammettere che la grande vittoria della sua vita, conquistare un esemplare unico, è stata un inganno. «Condannatemi, ve ne prego!», dice ai giudici, «la vita mi pesa, il mio avvocato vi ha mentito, non credetegli. Oh! condannatemi. Ho ucciso don Bernardo, ho ucciso il curato, ho rubato il libro, il libro unico, perché non ce ne sono due in Spagna. Signori, uccidetemi, sono un miserabile». Molto meglio la forca che ammettere l’esistenza di due Bibbie. Infatti, dopo la sentenza capitale, chiama il suo avvocato e gli chiede di prestargli il libro. Lo accarezza, ci piange un po’ sopra, infine lo straccia in minuti pezzetti, che getta in faccia al legale.
Questa storia non è un’invenzione di Flaubert. Fu anzi creduta vera per oltre un secolo. Apparve nel ’36 sulla Gazette des Tribunaux, in forma anonima, riferendo di un episodio che si pretendeva realmente accaduto e riguardava appunto un libraio di Barcellona, di nome però Don Vincente. Le bibliomane, ou le nouveau Cardillac (il titolo fa riferimento a un racconto di Hoffmann, Mademoiselle de Scudéri, pubblicato nel 1818, dove René de Cardillac è un orafo che uccide i compratori dei suoi magnifici gioielli) è stato attribuito a Charles Nodier, elegante scrittore e bibliofilo che già nel 1831 aveva esordito con Le bibliomane, testo simile per argomenti e struttura alla cronaca anonima di Barcellona.
La beffa letteraria è stata però smascherata solo in tempi recenti. Nel 1870 un altro scrittore assai raffinato, Jules Janin, narra l’aneddoto del bibliofilo assassino in uno dei dialoghi che compongono Le livre, trattato di impronta platonica sull’amor dei libri. Per oltre un secolo la storia del libraio pazzo viene presa alla lettera e rilanciata anche da dizionari ed enciclopedie. Don Vincente diventa l’emblema di una moralità, oltre che un personaggio storico. L’Ottocento romantico crede fermamente che si possa arrivare al delitto per un libro unico. Il gioielliere di Hoffmann uccide i suoi clienti per non privarsi dei pezzi preziosi. Così fa Don Vincente (a differenza del Giacomo di Flaubert), ex monaco che, dopo lo scioglimento degli ordini e la confisca dei conventi voluta dal governo spagnolo nel 1835, ha lasciato il suo con un bel bottino di antichi manoscritti, e ha impiantato un commercio di libri.
Vende però solo quelli di poco valore: dagli altri si separa con una sofferenza inaudita, anche se ciò non gli impedisce di concludere ottimi affari. I concorrenti si coalizzano dunque contro di lui, e a un’asta uno di loro si aggiudica un volume preziosissimo. Non è una Bibbia, ma un tomo che al non specialista non avrebbe detto nulla: Furs e ordinacions fetes per los Gloriosos reys de Aragò als regnicols del regne de Valentia. È però il primo libro spagnolo, stampato nel 1482 da Lambert Palmar, il tipografo che portò nella penisola iberica l’invenzione di Gutenberg. Il giorno dopo, il fortunato acquirente muore nell’incendio che gli divora il negozio e la casa.
Le autorità indagano, e mettono in relazione l’episodio con il ritrovamento di due cadaveri, quello di un giovane letterato tedesco e quello di un parroco, entrambi assassinati ma non per rapina, perché hanno ancora addosso oro e gioielli. Si pensa a un complotto clericale, vengono perquisite molte abitazioni sospette tra cui quella del libraio ex monaco, ed ecco comparire il preziosissimo incunabolo del Palmar. Non solo, ma in casa di don Vincente ci sono altri volumi preziosi che riconducono ad altre vittime di agguati mortali.
Inchiodato dalle prove, il «libreter assassin» confessa: non solo non poteva sopportare che il suo concorrente gli avesse soffiato il libro «unico», ma neppure che gli altri ingenui clienti lo avessero in qualche modo costretto, offrendo cifre altissime, a disfarsi dei suoi tesori. Così li aveva recuperati a uno a uno, uccidendo i malcapitati. Anche lui, come il Giacomo di Flaubert, viene condannato al supplizio della garrota. Un folle come tanti? A differenza di Giacomo, pronuncia una magnifica frase, al momento della condanna: «Gli uomini sono mortali, ma i buoni libri bisogna conservarli». Un folle come a volte sono folli gli scrittori." (da Mario Baudino, La leggenda del bibliomane serial killer, "La Stampa", 24/08/'11)

Nessun commento: