mercoledì 10 agosto 2011

Jeffrey Eugenides


"Jeffrey Eugenides è nato in una città industriale come Detroit e per anni è andato in vacanza solo nella zona nord dello stato del Michigan. Era un mondo completamente diverso, che iniziava negli immediati margini della città: praterie sconfinate che circondavano un lago grande quanto un mare, e boschi abitati da cervi e orsi. Quando parla della sua città racconta di avere "un amore perverso per Detroit" e di "essere ossessionato dal suo declino: a Detroit sono esemplificati alcuni dei principali elementi della storia americana, dal trionfo dell'automobile alle fabbriche con catene di montaggio, dalla piaga del razzismo alla grande musica: la Motown, Eminem, la house, la techno, gli MC5".
Lo scrittore, che ha appena completato il suo terzo romanzo in uscita ad ottobre (in Italia per Mondadori con il titolo La trama del matrimonio), è greco da parte di padre, mentre la madre discende da una famiglia scozzese e irlandese, ma si considera completamente americano, come dimostra la complicata epopea di Middlesex.
Ha un rapporto ambivalente con il concetto di vacanza, e tende a non separarlo dall'esperienza quotidiana, se non nel ricordo infantile. "C'è una differenza fondamentale, credo condivisa da tutti - racconta nel suo ufficio della Princeton University, dove insegna scrittura creativa - le estati della nostra gioventù erano segnate dalla fine della scuola, e davano l'impressione di essere infinite. Per questo se parlo di vacanza non penso solo a un luogo e a uno spazio ma soprattutto a un tempo. Al tempo".
Quali sono i ricordi delle sue vacanze giovanili? "Non ne ho uno specifico, tutto tende a fondersi in una sensazione di ebbrezza, che nasceva da questo rapporto con spazi e tempi "infiniti". Emozioni che hanno avuto un'influenza nel mio lavoro di scrittore: d'altra parte Flannery O'Connor diceva che tutto quello che si deve imparare per scrivere lo si impara prima dei quattordici anni".
Dove passava le sue vacanze? "Quando eravamo molto piccoli rimanevamo in città, ed è uno dei motivi per cui sento un legame così forte con Detroit. Anche allora, provavo l'idea che l'estate non finisse mai, che la scuola appartenesse alla pena quotidiana alla quale eravamo ingiustamente costretti. Poi, quando sono cresciuto, i miei hanno cominciato a mandarmi da solo in un piccolo villaggio del Nord Michigan chiamato Ponshewaing. E lì, in quel luogo lontano da tutto, con spazi aperti ed immensi, mi sono confrontato con l'idea di solitudine. Una grande esperienza di crescita".
Pensa ancora che la vita quotidiana sia una condanna rispetto alla vacanza? "Chi non ama le vacanze? Tuttavia sono cambiato e con me è cambiata la mia prospettiva sulla vita. Oggi le mie vacanze sono più brevi, e non sono quasi mai "isolate". La vera vita è quella che viviamo durante il resto dell'anno, e ho imparato ad apprezzarne i ritmi e i codici. Non riesco a divertirmi nel puro relax: mi spaventa l'idea di passare ore a non fare niente su una spiaggia".
Dove passa le sue vacanze da adulto? "In Europa. Vado spesso a Berlino: ci ho vissuto a lungo quando vinsi una borsa di studio con cui ho scritto il mio secondo romanzo, Middlesex. Ho imparato ad amarla, per i suoi ritmi così diversi dall'America, e anche dal resto dell'Europa. Durante l'anno vivo in un luogo delizioso ma puramente accademico come Princeton, ed è a Berlino che si svolge quasi tutta la mia vita sociale: lì i miei amici hanno un altro sguardo sulla vita".
Qual è lo scrittore che ha scritto in maniera più memorabile sull'idea di ricordo? "Ovviamente Proust. Ma mi piace citare Nabokov: nei suoi libri si legge sempre il ricordo di quanto aveva perso in Russia, la sua patria. Le sue pagine sono "beatitudini estetiche". E tengo sempre a mente quello che ha detto sulla letteratura: i grandi romanzi sono in realtà delle favole ".
È d'accordo? "È un'idea che mi è servita quando scrivevo Middlesex: in alcune parti ho cercato di avere un approccio da saga epica, cosa che ha molto in comune con i miti e le favole. In generale penso che il grande obiettivo della letteratura sia quello di fare una mappa della coscienza umana in una certa epoca. I romanzi sono un'immagine mentale di un periodo. Per questo danno piacere: mettono ordine al caos, diventano dei testimoni".
Tra i registi chi indicherebbe? "Fellini, che ha intitolato un film Amarcord, che nel dialetto della sua terra significa "mi ricordo". Nel mio nuovo romanzo due personaggi si innamorano andando a vedere insieme proprio quel film. Penso che un vero artista deve essere in grado di rendere universale un elemento intimo come un ricordo, proprio come fa Fellini con la sua città".
Cosa provava di fronte alle immagini di Rimini? "Era una Rimini passata, reinventata a Cinecittà. Ma quegli uomini e quelle donne appartenevano alla storia di tutti. Potevano essere amici o parenti dei miei antenati greci".
Che valore ha avuto il ricordo in Middlesex? "Dico solo che nella stesura finale ho tolto dettagli che potevano offendere alcuni parenti...".
Nelle Vergini suicide la voce narrante ricorda al plurale, mentre in Middlesex il ricordo è affidato ad un ermafrodito, cresciuto come donna, che comincia a vivere da uomo. "Mi piace scegliere voci difficili, forse anche impossibili. E credo che proprio partendo da queste voci si possa arrivare a svelare la realtà di quello che si vive e si è vissuto. Ogni narratore racconta una propria esperienza, e la difficoltà del raccontarsi a volte può trasformarsi in una chiave di lettura della propria intimità. Faccio un esempio che chiama in causa l'idea di vacanze: il mio approccio al tempo libero, infatti, è cambiato totalmente. Ma questo porta ad una domanda: avevo ragione da piccolo o ho ragione adesso?".
Si è dato una risposta? "Non credo sia possibile ma nello stesso tempo affiora la forza struggente di dettagli che dimentico nella quotidianità: la prima volta che sono arrivato in quel luogo nel Nord Michigan, il lago che aveva lo strano nome di Crooked Lake, i colori del tramonto, della notte, gli odori della prateria e del bosco".
Il ricordo delle vacanze è sempre bello? "Dipende da quale è per noi la vera vita. E questa, nonostante gli obblighi quotidiani, è una scelta che facciamo solo noi, nella nostra intimità"." (da Antonio Monda, Jeffrey Eugenides, "La Repubblica", 09/08/'11)

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