martedì 2 agosto 2011

La vergine eterna


"Con La vergine eterna, pubblicato in Giappone nel 2007, Kenzaburo Oe ha aggiunto una nuova, memorabile variazione ai temi che, di libro in libro, non si stanca di esplorare come fossero miniere inesauribili. Sembra incredibile che si possa sfidare con tanta faccia tosta tutte le regole commerciali vigenti nel mondo del romanzo, infischiandosene dell'accusa capitale di monotonia. Eppure questo vecchio maestro (è nato nel 1935) si comporta nell'unica maniera che è concessa ai grandi: non può fare altro che quello che fa e che sa fare. Se c' è un artista a cui somiglia, è Monet che dipinge le sue ninfee, ancora e ancora e di nuovo un'altra volta. Perché il problema non sono mai gli argomenti di cui si parla, ma le forme che suggeriscono, le maniere attraverso le quali diventa possibile raccontarli. E non c'è nulla che possa considerarsi, una volta per tutte, stabile nel giudizio e nel ricordo. Perché il significato di ogni evento che ci accade, o di cui siamo testimoni, è il frutto di un processo di comprensione che può essere lunghissimo, accidentato, insidiato da ogni specie di ostacoli. Ed è così che in La vergine eterna, come in tanti altri libri di Kenzaburo Oe, il racconto tocca tempi lontanissimi tra loro, con intervalli di decenni. Si parte dai nostri giorni e si arriva, con uno sforzo della coscienza che ha qualcosa di fisico tanto è doloroso, al Giappone dell'immediato dopoguerra e dell'occupazione americana. Mentre passeggia una sera in compagnia di suo figlio Hikari, Kenzaburo Oe, che ha ormai raggiunto i settant'anni, viene fermato per strada da una vecchia conoscenza, Komori Tamotsu, un produttore cinematografico che trent'anni prima lo ha coinvolto nell' ambizioso progetto di un film, mai realizzato, ispirato a un romanzo storico di Heinrich von Kleist.
È questo il punto di partenza di una storia nella quale sia lo scrittore che il suo amico Komori ruotano intorno a una terza figura, quella di Sakura, una famosa attrice giapponese che ha fatto fortuna in America. A metà degli anni Settanta, Sakura è all'apice della sua fama, e quel film storico dovrebbe segnare un suo ritorno trionfale in Giappone. E invece il progetto, destinato ad arenarsi il primo giorno di lavorazione, rappresenterà per Sakura un incontro imprevisto e traumatizzante con un passato terribile. Quanto a Kenzaburo, anche lui a quarant' anni è ormai uno scrittore importante, considerato il più degno erede di Mishima. Anche se non ne è il protagonista, la storia in cui si trova coinvolto finisce per coinvolgerlo, rimanendo incisa profondamente nella sua coscienza. Ma ci perdoni il lettore, riassumere un libro di Kenzaburo Oe è davvero un'impresa disperata. Perché questo straordinario esploratore della coscienza, mentre imbastisce una trama, sembra sempre distruggerla con le sue mani, come una Penelope reincarnata che di notte disfa quello che ha costruito di giorno. I trasalimenti, le illuminazioni, le improvvise prese di coscienza si susseguono con una tale incisività che, invece di seguire semplicemente i fatti raccontati come si fa in genere con i romanzi, noi ne siamo sorpresi, o addolorati, o commossi come spetterebbe ai soli personaggi. E via via che il racconto procede verso la fine, siamo inevitabilmente condotti ad ammettere che è proprio così: vale la pena continuare a rimuginare sempre sulle stesse cose, perché ogni evento davvero importante è una specie di prisma, che ruotando ci mostra le sue innumerevoli facce, mentre tutto cambia di segno, e anche il nero dell'oblìo può trasformarsi nella luce del ricordo, anche la più cocente delle sconfitte può rivelarsi il preludio di una lontana vittoria. Non solo per la precisione e la lentezza Kenzaburo Oe può essere considerato uno scrittore difficile. Un'altra sua eresia, rispetto alle leggi del mercato narrativo, è quella di non offrire, tra i lettori e i suoi personaggi, i facili appigli dell' identificazione. Davvero esotici risultano sempre i suoi eroi, ma non perché sono giapponesi, ma perché vivono la loro vita in un tale stato di intensità e partecipazione e apprensione che nessuno di noi ragiona come loro, nessuno di noi è attratto o respinto dalle cose o dalle persone come lo sono loro. La letteratura dovrebbe sempre realizzare questo prezioso beneficio, farci slittare in un punto di vista che pensavamo impossibile, suggerirci di fare attenzione a cose che non credevamo degne di attenzione. Commossi e sorpresi, ma soprattutto scalzati dalle nostre più tenaci abitudini di pensiero, via via che ci avviciniamo alla conclusione di La Vergine eterna ci rendiamo conto che è la storia di un riscatto, quella che stavamo leggendo, mentre credevamo che fosse la cronaca di un fallimento. Alla fine, dal film che non fu realizzato germoglierà qualcosa di più importante ancora, e degno di un'attesa di trent'anni. Kenzaburo Oe, come in tanti sui libri, ci racconta l'avventura di un'opera: pochi come lui hanno meditato a fondo la natura del processo creativo, i suoi rischi, le sue poste in gioco. Ci ricorda, così facendo, che ogni essere umano ha di fronte a sé un compito di natura artistica. Perché la vita, quando è vissuta fino in fondo, è sempre immaginata, ancora prima che interpretata. E se qualcuno vuole davvero afferrarne il significato sarà bene che cominci, romanziere di se stesso, a darle una forma. Come un saggio zen, Kenzaburo Oe ci insegna cose essenziali, con l'aria di chi si sofferma sui dettagli laterali, senza mai venire al dunque. E pazienza se non scala le classifiche. Artisti così liberi si contano davvero sulle dita di una mano sola." (da Emanuele Trevi, La dolce lentezza di Kenzaburo Oe, maestro di storie, "La Repubblica", 23/07/'11)

Nessun commento: