lunedì 8 agosto 2011

Perché i piccoli poeti sono gli ultimi artigiani


Piove

Piove, e se piovesse per sempre
sarebbe questa tua carezza lunga
che si ferma sul petto, le tempie;
eccoci, luccicante sorella,
nel cerchio del tempo buono, nell’ora indovinata
stiamo noi, due sguardi versati in un corpo,
uno stare senza dimora
che ci fa intangibili, sottili come un sentiero di matita
da me a te né dopo né dove, amore, nello scorrere
quando mi dici guardami bene, guarda:
l’albero è capovolto, la radice è nell’aria.


"La casa del poeta è un prefabbricato del terremoto, una piccola baita di legno marròn, tra l'ospizio di Tricesimo e il campo sportivo. Pierluigi Cappello ci vive da una decina d'anni, al centro c'è la stanza col tavolino e intorno i libri, gli scatoloni, le fotografie. «Sono un po' accampato, non ho spazio né archivio, quando riempio una scatola poi la do a mia mamma che se la porta dove abita lei».
Cappello è un poeta importante: nel 2010 ha vinto il Viareggio (prima di lui, tra i friulani solo Saba e Pasolini) con la raccolta Mandate a dire all'imperatore (Crocetti Editore). È nato nel 1967 a Gemona, nome che contiene tutto un mondo di crolli, dolori, forza, ricostruzione. Sta su una sedie a rotelle da quando aveva sedici anni: un incidente in moto, il suo amico che guidava morì. Ma non è per questo che scrive, Pierluigi Cappello: «Sono poeta malgrado la fragilità fisica, non grazie ad essa. Avrei scritto lo stesso, forse sarei diventato un narratore di viaggi. Perché la parola pretende tutti i sensi vigili e attivi, ti chiede la pienezza del corpo. E io ho soltanto memoria dei miei piedi nudi sulla sabbia del fiume, delle mie scarpette da atletica che picchiano sulla pista. Correvo i cento metri in undici e due, mica male».
Un cielo di un celeste delicatissimo si è appena appoggiato sulle montagne, dopo una giornata di nuvole furiose. Il mondo è una finestra. "Fuori il sole / è fiorito sui rami, sorridente / fra me che scrivo e la parola niente".
Ma come nasce, quella parola? Come si cerca? Dove? «L'ispirazione esiste, ed è affidata all'appunto veloce. Riempio fogli, post-it, cartoncini, scrivo ovunque e poi cerco di mettere ordine, ricopiando gli spunti su queste agendine nere».
Ne prende una, tra il pacchetto di sigarette e il bicchiere. «Spesso, è materiale che resta inerte e non dà alcun frutto poetico. Può però accadere che gli appunti si chiamino tra loro, a distanza di tempo, e da quel momento comincia l'artigianato. Il poeta è un vasaio. Deve conoscere l'endecasillabo, e ogni struttura della tradizione anche per violarla. È una rottura cosciente delle forme. La tua voce la trovi fra tradizione e tradimento, è il tuo ritmo, è come un respiro e dopo anni lo riconosci. Ma il primo passo è sempre ascolto, sguardo. Tutto comincia da un dettaglio».
Si apre la porta ed entra Marisa, la vicina di casa che è venuta a sentire se Pierluigi abbia bisogno di qualcosa. Insieme a lei, entrano le parole dolci eppure puntute della lingua friulana, "gno cor", mio cuore. «Il bilinguismo perfetto è una ricchezza, allarga la tastiera del poeta ed è anche una grande occasione di convivenza, troppo spesso sprecata. L'italiano ha parole che il dialetto non possiede, e viceversa. Scrivere è anche tradurre continuamente, in testa, i passaggi tra le due lingue che poi sono la tua storia». "Il suono cade nel suo silenzio e lì riposa / in un astuccio di velluto, dentro un buio guarnito di blu". Perché anche il silenzio, in fondo, è parola. «Il verso ha la traiettoria, la durata e il respiro tra la vita e la morte, è un pieno dentro il vuoto. Il silenzio del bianco, sulla pagina: anch'esso andrebbe letto. Ma senza mai pensare che la poesia possa dare informazioni utili: L'Infinito di Leopardi che informazioni può fornire?». La poesia è pura gratuità, nessuno ne vive. È dunque inattuale, non ha mercato. «È un gesto di resistenza che difende la possibilità di uno sguardo, senza alcuna utilità pratica, ed è questa la sua purezza». Campa infatti con una pensione di invalidità (700 euro), più qualche serata, qualche lezione, ma poco perché si affatica presto, il corpo è fragile. "Ci si sfila dal mondo così, / come da un vestito stanco delle feste, / quando viene la sera". «La poesia va letta ad alta voce e imparata a memoria, diventa biologia, entra in te». Ma non cercatela mai sulle nuvole, è l'esatto contrario dell'astrattezza: «Il poeta non scrive della rosa ma di questa rosa, delle sue sfumature, della sua breve durata: della sua unicità. È una persona concreta che mette sul bianco una cosa che prima stava per aria: il fenomeno viene sancito dalla scrittura. Il vero elemento di futuro è la curiosità». C'è come una forza delicata in questo percorso, il segno di un dolore («Non ci siamo sposati, io e il mio dolore siamo una coppia di fatto»), ma anche il lineamento di una bellissima serenità. Lo si vede bene, nei suoi occhi. "Tremando al vivere, come fa l'aria dopo uno sparo". È un tempo di solitudine, di sensazioni piccole e profonde. "Sei tutto nel bianco della neve / ogni segno nel candore una ferita". Ma cosa legge un poeta? «Beh, gli altri poeti, i classici e i contemporanei, la storia, per esempio quella del mio Friuli. Scarsa narrativa e quasi nulla di italiano: tra i contemporanei c'è proprio poco. Il mio autore è Thomas Mann: chi ha vissuto per un anno e mezzo in ospedale, capisce davvero La Montagna incantata, la lentezza del trovarsi in quella misteriosa ansa del fiume». La sera adesso sembra disegnata a matita, così scendono le ombre nella casetta di legno. «Amo l'anima di grafite delle matite, la possibilità di cancellare e tornare indietro, magari lo si potesse fare davvero». Ma nessuna malinconia. Il vetro della finestra, qui accanto, chiede un altro tipo di sguardo." (da Maurizio Crosetti, Perché i piccoli poeti sono gli ultimi artigiani, "La Repubblica", 08/08/'11)

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