mercoledì 10 agosto 2011

Generosity


"«Per buona parte della storia umana, quando l'esistenza era troppo breve e tetra per significare qualcosa ci servivano delle storie per compensare. Ma ora che siamo sul punto di vivere la vita, soddisfacente e quasi indolore che la nostra intelligenza merita, è ora che l'arte ci conduca oltre un nobile stoicismo». Che affermazione è quella che, proprio a metà libro, Richard Powers piazza in bocca a Thomas Kurton, il morbido "cattivo" del suo ultimo romanzo, Generosity, in una scena in cui questo personaggio – ingegnere genetico, scienziato senza più una morale a noi riconoscibile – viene invitato a dibattere in una conferenza sul futuro dell'umanità proprio insieme a un romanziere? Con una specie di mise en abyme, Powers ci svela proprio qui, a pagina 174, quella che è l'ennesima sfida che secondo lui la letteratura, in particolare il romanzo, può portare alle altre narrazioni della surmodernità che sembrano scalzarlo.
Forse l'intera carriera artistica di questo scrittore americano potrebbe essere rivisitata con questo schema: la letteratura contro tutti. Dove tutti sono le altre visioni che rischiano di ridurre l'infinita complessità dell'uomo a una visione parziale, salvifica o apocalittica che sia. Dal suo primo romanzo del 1985, Tre contadini vanno a ballare, in cui l'antagonista è la fotografia e la sua capacità di immortalare icasticamente; al capolavoro stilistico Il dilemma del prigioniero del 1988, in cui è la propaganda politica a essere sfidata; al suo romanzo classicamente post-moderno The Goldbug Variation (1991), in cui abbiamo a che fare con la sequenzialità sottesa a informatica e musica; alla capacità taumaturgica che alle volte attribuiamo alla medicina pediatrica – in Operation Wandering Soul (1993); al titanismo della cibernetica di Galatea 2.2; all'economia del mondo globale di Gain (Sporco denaro, secondo il brutto titolo italiano) del 2001; alla realtà virtuale di Plowing the dark; fino ai suoi ultimi tre romanzi acclamati dal pubblico oltre che dalla critica: l'opera-monstre Il tempo di una canzone (2003) in cui è direttamente la Storia con la S maiuscola a dover fare i conti con la pluralità romanzesca; Il fabbricante di eco (2006, vincitore del National Book Award) in cui il nostro bisogno di storie se la vede direttamente con le scienze della memoria (neurologia, psichiatria...); per finire con il libro uscito nel 2009 negli Stati Uniti e quattro mesi fa in Italia per Mondadori, Generosity. Qui: la narrativa ce la farà contro l'ingegneria genetica?
Scrittore per scrittori, considerato da molti un narratore freddo, cerebrale – tanto dotato di mezzi linguistici formidabili quanto poco coinvolgente da un punto di vista emotivo – Richard Powers ha portato avanti, libro dopo libro, con una caparbietà commovente – questa sì –, l'idea che il romanzo non possa esimersi dal compito che gli hanno attribuito i grandi scrittori del passato: aiutarci a conoscere il mondo, continuare a interrogarci con sempre maggiore intelligenza sulla questione umana. E se le visioni d'insieme diventano ogni giorno più complesse (prismatiche, multifratte), uno scrittore non può pensare di ritrovare in una sorta di ingenuità sentimentale il suo ruolo. Invece di liquidarlo come cerebrale, proviamo a usare l'attributo cognitivo. E se ancora questo lo definiamo massimalismo, pare sottintendere insieme a noi Powers anche in questo Generosity (un romanzo colto, ambizioso, intellettuale, ipermoderno...), sia.
Ma pensate cosa sarebbero uno Svevo, un Joyce o una Woolf che non avessero letto Freud? Pensate a cosa avremmo perduto se Kafka avesse ritenuto poco plausibile quel l'incipit con un uomo che si ritrova a essere uno scarafaggio? O se Günter Grass non avesse provato a rendere nel protagonista del Tamburo di latta tutto il dramma dell'Europa postbellica? O se Goncarov non si fosse concesso l'ardire di raccontare un pezzo di storia sentimentale del Novecento tutta in un quell'unico personaggio, Oblomov? O o o.
E anche qui, Powers, parte da un incredibile paradosso incarnato. C'è una ragazza algerina, Thassa, immigrata in America dopo aver visto il suo paese d'origine dilaniato da un'atroce guerra civile, una ragazza che sembra essere sempre felice. Ipertimica, come si dice in gergo psichiatrico. Com'è possibile? Che segno è per i nostri tempi di cinismo e malinconia? Se lo chiedono tutti quelli che la conoscono. L'insegnante di scrittura creativa che se la ritrova tra gli studenti del suo corso. La psicologa del college alla quale questo insegnante va a chiedere lumi e finisce per innamorarsi. L'ingegnere genetico di cui sopra. Una giornalista di un format tv sulla scienza che ne vuole fare un'eroina da teleschermo. E poi, piano piano, tutto quel mondo occidentale acculturato e a rischio depressione, che somiglia molto a noi lettori e che oggi si chiede se le pene dell'anima non siano altro che imperfezioni del Dna. Così, la questione attorno alla quale riesce a ruotare la narrazione di Generosity diventa ineludibile: se ci fosse data la possibilità di crescere un'umanità geneticamente più felice, l'accetteremmo? Tutti saremmo forse disposti a riscrivere un pezzo del nostro codice genetico per evitare ai nostri figli la possibilità di ammalarsi di fibrosi cistica, ma: se ci venisse concesso di modificare gli equilibratori dell'umore?
La risposta che nella conferenza il romanziere restituisce a Kurton, lo scienziato, sembra in parte quella che Powers allestisce nel resto delle pagine del libro: «Quando la narrativa diventerà reale, alla realtà servirà un ceppo narrativo più resistente». Sì, la risposta è semplicemente un ampliamento della domanda. È questo il nostro mondo, ci mostra Generosity: un'umanità in overload. Un sovraccarico cognitivo, emotivo, psichico... Un universo popolato da bambini iperconsapevoli che si sanno perfettamente destreggiare in città virtuali sulle loro playstation, storie d'amore che somigliano a terapie psicanalitiche, una politica governativa che pare improntata a guarire la popolazione da una forma diffusa di stress post-traumatico, eccetera eccetera. Cosa vorrà dire felicità per questi uomini?" (da Christian Raimo, Un'ingiustificabile felicità, "Il Sole 24 ore", 07/08/'11)

Generosity by Richard Powers ("The Guardian")

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