mercoledì 4 maggio 2011

La storia perduta dei libri. Nessuno salva le correzioni


"Della Recherche di Marcel Proust, scritta tra il 1909 e il 1922, ci restano 75 volumi con i manoscritti e le correzioni, e quattro quaderni di note. Jonathan Littell ha scritto Le Benevole, dopo un anno e mezzo di ricerche a Mosca nel 2001, in 112 giorni; due stesure a carta e penna, e una terza con il computer. Ma molti altri scrittori della sua generazione sono andati ancora più in là avendo ormai dimenticato la carta: si scrive direttamente con un programma di videoscrittura, che non conserva traccia — a meno che non gli venga chiesto — delle correzioni e dei ripensamenti che fanno da secoli la gioia dei filologi. La letteratura sta diventando il regno eterno della bella copia.
«Distruggendo la possibilità della memoria, ci stiamo preparando un futuro orfano di noi stessi», dice Pierre-Marc de Biasi, direttore dell’Item (Istituto dei testi e dei manoscritti moderni). Il grido d’allarme di questo studioso di Gustave Flaubert (celebre per le stesure tormentate) si basa sulla constatazione che da circa vent’anni la maggioranza degli scrittori si è convertita ai born digital manuscripts, cioè manoscritti composti direttamente al computer, e non resta alcuna traccia della genesi del loro lavoro. Per la prima volta dal Settecento, viviamo in un’epoca nella quale non resterà nulla del gigantesco lavoro preparatorio che prelude all’opera completa. E gli studiosi, abituati a scrutare minuziosamente l’evoluzione di un passaggio di Jane Austen o Honoré de Balzac, scoprono che non avranno nulla su cui indagare in futuro per capire come un autore è arrivato a creare un capolavoro della nostra epoca.
Pierre Assouline, critico letterario di Le Monde, ricorda che il problema si allarga agli ultimi quarant’anni se consideriamo che i primi supporti elettronici sono spesso ormai illeggibili, e che comunque la durata di vita garantita di un hard disk o di una chiavetta Usb è di 5 anni in media.
La digitalizzazione totale delle opere dell’ingegno conduce a un paradosso: sul sito della Biblioteca nazionale di Francia possiamo consultare gli incunaboli o le diverse versioni di un passaggio di Victor Hugo, ma non l’evoluzione tra le diverse stesure di un romanzo contemporaneo, semplicemente perché molto spesso queste non esistono. «Oggi gli scrittori tendono a non usare più la carta — scrive Assouline —. Scrivono direttamente con un programma di scrittura, fanno le correzioni sullo schermo, inviano il loro romanzo o il loro saggio all’editore per e-mail, con un file allegato».
Non si tratta di una lamentazione passatista in nostalgia di penna d’oca e calamaio, o delle lettere con il bollo di ceralacca. Piuttosto, è interessante notare come lo strumento utilizzato per scrivere cambi radicalmente la natura del testo, e il lavoro di quanti ritengono la letteratura degna di essere studiata. Nel saggio Gli archivi della creazione nell’epoca del digitale, de Biasi osserva che «l’era della pergamena era stata quella del palinsesto, l’età della carta quella della correzione; eccoci ora entrati nell’epoca del supporto senza pentimento». La preoccupazione non sembra corporativa, gli archivi dei manoscritti dell’Ottocento e del Novecento daranno lavoro ancora per molti decenni. Solo che, quando si tratterà di esaminare la genesi di capolavori di oggi, non ci sarà granché da studiare.
I tecnici dell’Item stanno allora sviluppando un software gratuito, pronto entro due anni, in grado di creare un nuovo file a ogni cambiamento del testo, salvando e conservando in ordine cronologico ogni correzione. Ma nell’era della velocità e della visione a breve termine, potrebbero non essere molti gli scrittori desiderosi di servirsene." (da Stefano Montefiori, La storia perduta dei libri. Nessuno salva le correzioni, "Corriere della Sera", 04/05/'11)

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