lunedì 9 maggio 2011

Il futuro del libro


"Il mondo, lo avvertiamo tutti con un certo turbamento, è inesorabilmente avviato
verso una nuova èra, che sarà configurata dalle innovazioni tecnologiche. Vediamo rispecchiata questa trasformazione nei modelli di comportamento delle persone. Siamo di fronte a una nuova generazione «nata digitale», che è sempre «connessa», intenta a conversare dappertutto con il cellulare, a inviare con un clic messaggi istantanei, a interagire in realtà più omenovirtuali. I giovanissimi che incrociamo per strada o che ci siedono accanto sull’autobus sono contemporaneamente presenti e assenti. Muovono il corpo sulle note di una musica udibile solo da loro, chiusi dentro il guscio dei loro sistemi digitali. Sembrano costituzionalmente diversi rispetto a noi, che traiamo il nostro atteggiamento nei confronti delle macchine da un’altra area dell’inconscio.
La nostra generazione ha imparato a sintonizzare la radio o a regolare l’ora girando una manopola; le giovani generazioni attivano e disattivano sistemi schiacciando un tasto. La differenza tra i due gesti può sembrare insignificante, eppure deriva da riflessi situati nel profondo della memoria cinetica.
Gli esseri umani si orientano nel mondo mediante una disposizione sensoriale che i tedeschi chiamano Fingerspitzengefühl, radicata nei movimenti fini delle dita. Proviamo, noi che abbiamo imparato a guidare la penna con il dito indice, a osservare come i giovani usano i pollici sulla tastiera del cellulare, e capiremo come la tecnologia penetri le nuove generazioni, anima e corpo.
Questa modificazione del Fingerspitzengefühl significa forse che presto i lettori smetteranno di sfogliare emaneggiare i libri?
A quanto pare, i dispositivi di lettura si sono conquistati un posto nel panorama dell’informazione. Ma il dispositivo più antico di tutti, la forma «codice», continua a essere quello dominante. Anzi, la sua fetta di mercato è in crescita.
Secondo il Bowker’s Global Books in Print, nel 1998 in tutto il mondo furono pubblicati 700 mila nuovi titoli; nel 2003 i nuovi titoli erano 859.000 e 976 mila nel 2007. Nonostante la crisi economica in corso, il numero di libri pubblicati arriverà presto a un milione l’anno. La resistenza dell’antiquata forma «codice» illustra un principio generale della storia della comunicazione: un medium non ne scalza un altro, almeno nel breve termine. La pubblicazione tramite manoscritti continuò a fiorire per molto tempo dopo l’invenzione di Gutenberg; i giornali non spazzarono via il libro a stampa; la radio non rimpiazzò i giornali; la televisione non estromise la radio; e Internet non ha allontanato gli spettatori dalla televisione.
Ne dobbiamo concludere che l’innovazione tecnologica offre un rassicurante messaggio di continuità, a dispetto del proliferare delle invenzioni? La risposta è: no. L’esplosione delle modalità di comunicazione elettroniche è altrettanto rivoluzionaria dell’invenzione della stampa a caratteri mobili, e noi abbiamo altrettante difficoltà a assimilarla di quante ne ebbero i lettori nel Quattrocento, quando si trovarono di fronte ai testi a stampa.
Ecco, per esempio, che cosa scriveva Niccolò Perotti, un erudito umanista italiano, a Francesco Guarnerio nel 1471, meno di vent’anni dopo l’invenzione di Gutenberg: «Negli ultimi tempi, mio caro Francesco, mi sono spesso congratulato con l’età nostra, quasi avessimo ottenuto proprio ora un dono grande, invero divino, con il nuovo tipo di scrittura di recente giuntoci dalla Germania. Vedevo infatti che un uomo solo poteva stampare in un mese ciò che parecchi amanuensi a stento avrebbero potuto portare a termine in un anno ... Questo mi induceva a sperare che entro breve tempo avremmo avuto una tale quantità di libri che non sarebbe rimasta una sola opera che non ci si potesse procurare per scarsità o mancanza di mezzi ... Ora tuttavia - o fallacia dei pensieri umani! - vedo che le cose sono andate ben diversamente da come speravo. Infatti, adesso che chiunque è libero di stampare ciò che gli aggrada, sovente gli uomini trascurano l’eccellenza, per scrivere, a puro fine di divertimento, ciò che meglio sarebbe dimenticare, anzi cancellare da tutti i libri. E anche quando scrivono corrompono al punto che sarebbe di gran lunga preferibile fare a meno di tali libri, anziché spedirli in migliaia di copie in tutte le provincie del mondo, col rischio, ahimè, di diffondere un così gran numero di menzogne».
Sembra di leggere i commenti di quanti, me compreso, criticano Google Book Search, rammaricandosi per le imperfezioni testuali e le inesattezze bibliografiche del «nuovo tipo di scrittura» che ci giunge su Internet. Ma il futuro sarà comunque digitale. Quello attuale è un periodo di transizione, nel quale la modalità a stampa e quella digitale coesistono e le nuove tecnologie diventano presto obsolete. Stiamo già assistendo alla scomparsa di molti oggetti familiari: la macchina per scrivere, ormai relegata nei negozi di antiquariato; la cartolina postale, una curiosità; la lettera scritta a mano, un compito superiore alle capacità della maggior parte dei ragazzi, che non sanno più scrivere in corsivo; il giornale quotidiano, estinto in molte città; la piccola libreria, sostituita dalle grandi catene di distribuzione, a loro volta minacciate dai distributori online, come Amazon.
E la biblioteca? Sembrerebbe l’istituzione più arcaica di tutte. E tuttavia il suo passato fa ben sperare per il suo futuro, perché le biblioteche non sono mai state magazzini di libri. Sono sempre state e sempre saranno centri di studi e di cultura. La loro posizione centrale nel mondo del sapere le rende idealmente adatte a mediare
tra le due modalità di comunicazione, a stampa e digitale. Anche i libri possono accoglierle entrambe. Siano stampati su carta o immagazzinati su un server, i libri costituiscono il corpo del sapere e la loro autorevolezza deriva da elementi che trascendono la tecnologia usata per produrli. Essa è dovuta in parte agli autori, benché i libri fossero oggetto di reverenza ben prima che nel Settecento prendesse forma il culto dell’autore. Come sottolineano gli storici del libro, gli autori scrivono il testo, ma il libro è materialmente fatto da professionisti specializzati, e questi ultimi esercitano funzioni che vanno ben oltre la manifattura e la diffusione di un prodotto.
Gli editori sono come dei guardaportone, che controllano il flusso della conoscenza.
Tra l’illimitata varietà di materiale suscettibile di essere reso pubblico, essi, sulla base della loro competenza professionale e delle loro personali convinzioni, selezionano ciò che a loro avviso si venderà o merita di essere venduto. I giudizi degli editori, informati a una lunga esperienza nel mercato delle idee, condizionano ciò che raggiungerà i lettori, e i lettori, in quest’epoca di sovraccarico di informazioni, hanno più che mai bisogno di affidarsi a essi. Selezionando i testi, revisionandoli, impaginandoli in modo che siano leggibili e portandoli all’attenzione
dei lettori, i professionisti del libro forniscono servizi che sopravviveranno a ogni cambiamento tecnologico." (da Robert Darnton, La Rete e Google non uccideranno il lavoro editoriale, "TuttoLibri", "La Stampa", 07/05/'11; ©2009 Robert Darnton ©2011 Adelphi Edizioni s.p.a. Published by Arrangement
with Roberto Santachiara Agenzia Letteraria)

Il futuro del libro (The Case for Books)

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