sabato 14 maggio 2011

Fabio Fazio: Come ti mando i libri in cima alle classifiche


"«Passo il tempo libero con i libri» mi dice Fabio Fazio. Bene. «Non a leggere, ma a spostarli e ordinarli».
Si vede, che fai molto sport. «Il libro lo lego all’ordine, di cui sento sempre la mancanza. È scritto: dunque è già avvenuto, pensato, armonico, compiuto, lì dentro c’è tutto quello che serve».
Qualora venga letto. «Non appena avrò il tempo. Non c’è giorno che io non compri un libro. Così costruisco fisicamente e ipoteticamente il mio futuro».
I libri separati dalla vita. «È la lacuna culturale che tento di colmare, il mio senso di colpa permanente. Deriva dall’idea che la cultura sia cultura scritta: idea ottocentesca ma tenace, se negli Anni Settanta la sinistra italiana demonizzava la tivù a colori, e se ancora oggi la politica reagisce più alle dichiarazioni rilasciate a un giornale, e lette da pochissimi, che a uno show televisivo. Ma la mia generazione, dei nati negli Anni ‘60, è la prima ad avere già sostituito la storia scritta con la storia narrata da una voce: prima dai dischi delle favole, poi dalla televisione. Ho letto I fratelli Karamazov dopo avere visto lo sceneggiato».
Però allora scuola e lettura erano ancora percepite come strumento di promozione sociale. «Per fortuna».
Per te che appartieni alla primagenerazione televisiva, quando è avvenuta la
scoperta della parola scritta, cioè la saldatura fra libri e vita? «Molto tardi e a fatica, per colpa della scuola "nozionistica", che pure ha tanti meriti. Le antologie distinguevano, di qua la biografia, di là le opere. Poi invece capisci che la scrittura è trascrizione della vita, o che la vita avviene in funzione della scrittura: che, cioè, l’espressione è il massimo di onestà, sofferenza, svisceramento per guarire la propria esistenza. E che ciò avviene soltanto nel tempo, avendo il tempo della meditazione. Questo, il conforto dell’ordine intrinseco, è quanto mi affascina di più in assoluto. L’arte non è istantanea».
A differenza della tv. «Che è per sua natura il mezzo dell’evanescenza, l’attimo migliore è quello che svanisce. Perquesto l’abbinamento televisione più scuola sarebbe il più formativo per la massa: generalista, evanescente e pervasiva la television , puntuale, individuale e prolungata nel tempo la scuola».
Invece la tv ha vinto. «Permane l’idea che le espressioni culturali siano un bene accessorio. Al contrario, non c’è nulla di più utile e divertente che imparare. Noi siamo quello che abbiamo imparato».
Ribaltando: se non sai, non sei. Mentre al «popolo» viene fatto credere l’esatto
contrario. Dunque, a differenza di quanto dicono, con la cultura si mangia? «Se sai le lingue straniere, al ristorante capisci il menu».
Anche per te imparare è utile e divertente? Lo è ancora? «Sì, anche se per carattere non sonomolto incline al divertimento. Ma ricordo la meraviglia quando assistetti a una lezione di Edoardo Sanguineti su Malebolge. Due ore sulla prima terzina: che cosa si può scoprire, nelle parole! Così tanto, che poi quell’esame non lo diedi, era troppo per me».
E la tv, 'Che tempo che fa' soprattutto, come ha cambiato il tuo rapporto con i libri? «Innanzitutto cancellando un mio pregiudizio. Pensavo che un libro, per avere dignità, dovesse essere stato scritto da qualcuno di mortissimo. Solo la scrematura del tempo, eccetera».
Scusa ma è un’idea ottocentesca, invece che nel 1964 sembri nato verso il 1850.
«A metà strada fra l’Illuminismo e Gozzano, sì. La provincia è provincia».
Chissà che sbalzo sarà stato, ritrovarsi in televisione. «Come il sasso che spacca la finestra del salotto borghese in un dramma di Giuseppe Giacosa. Come essere rapito dagli alieni. Ho 46 anni e ne ho fatti 28 di Rai: sono un anacronismo. In più, quando ho cominciato c’erano ancora quelli che avevano fatto la Rai negli Anni Sessanta, da loro ho imparato. Dunque è come se, a 46 anni, ne avessi fatti 48 di Rai».
Sei antichissimo. Ma la Rai è ancora in mano agli alieni? «Sono stati sostituiti da turisti su Marte, che neppure sanno dove sono. Però fanno le lottizzazioni,
costruiscono seconde case, villette a schiera».
Deliziosa, l’ambiguità della parola lottizzazione. Comunque: 'Che tempo che fa', di fatto un programma di libri in prima serata, è un’anomalia. «Per fortuna chi lavora in tv non ha tempo per guardarla».
Sta per concludersi l’ottava edizione del tuo talk show. Quando è cominciato, avevi idea che sarebbe diventato il programma che è oggi? «Sapevo solo che, a quasi quarant’anni, volevo fare qualcosa che non avevo ancora fatto».
E avevi fatto praticamente tutto. La gavetta nella tivù dei ragazzi, Quelli che il calcio ovverola popolarità, 'Anima mia' ovvero il cult, Sanremo ... Tutto, tranne che conversare con gli scrittori, cioè saldare quella famosa spaccatura fra libri e vita. «È un privilegio conoscere le persone fisiche, i libri iniziano a parlare: capisci quanta sofferenza e quanta verità c’è in quelle parole, anche inventate».
Un’illuminazione. «Anche un lusso. Ora che lo conosco, quando leggo Tabucchi sento la sua voce».
Quanti libri leggi, preparandoti per la trasmissione? «Quattro o cinque a settimana, alcuni per intero, altri in parte».
Parli sempre di libri appena usciti, in promozione? «È difficile che un autore abbia voglia e tempo di venire, altrimenti. Ma quasi mai parliamo di un libro, del suo contenuto: semmai con un libro, cioè delle sue motivazioni».
E parli sempre con autori famosi? «Portare ascolti alla mia azienda è l’unica garanzia di libertà. Eppure, orgogliosamente abbiamo ospitato autori non popolari: Roberta De Monticelli, Vito Mancuso, Stéphane Hessel, Enaiatollah Akbari ... E comunque,quale scrittore è "popolare" intermini televisivi?».
Oggi sei il kingmaker, l’unico che se parla di un libro lo scaraventa in classifica. Senti la responsabilità delle scelte? «Molto, ma voglio anche evitare l’autocompiacimento. Per non approfittare del ruolo, non scrivo libri anche se ne avrei voglia, e ho sospeso ogni collaborazione».
Niente conflitto di interessi. «La moralità è aiutata dalla pigrizia».
Quali sono gli incontri che ti hanno segnato di più, fra i tanti fatti grazie alla trasmissione? «Ero curiosissimo di conoscere Ceronetti, di Roberto Calasso pensavo fosse un’entità astratta e invece ci ho parlato, ho un’adorazione per Fruttero, con Rigoni Stern ci siamo salutati con un abbraccio, come se lui fosse appena tornato dalla Russia e come se io avessi capito. E poi Meneghello, Camilleri ... Ma forse riassumerei con un’immagine: Paul Auster, David Grossman e Roberto Saviano insieme, per uno "speciale". Adesso Roberto è uno dei miei migliori amici. Paul Auster mi ha consigliato una brasserie di Parigi: conservo come una reliquia quel suo bigliettino, e ogni volta che ci vado penso, con civetteria, che è merito della televisione. Con Grossman c’è un legame speciale. Per un patto non detto ma ovvio non abbiamo parlato dell’indicibile, ma la sofferenza era così
evidente che abbiamo finito l’intervista con le lacrime agli occhi. Poi mi ha detto: "ci eravamo dimenticati di essere in televisione". È il complimento supremo».
Ti spiace se torniamo all’immagine di te che sposti ossessivamente i tuoi libri? «Mi sono a lungo ostinato a non credere di abitare a Milano, benché ci abitassi, e quindi tenevo tutto in Liguria. E non leggevo niente. Poi ho deciso: a Celle i romanzi, lettura estiva, qui il resto. Ma quello che mi serviva era sempre altrove, quindi ricompravo, ho almeno 500 doppioni. Ora qui ho i fondamentali (cioè Shakespeare, i lirici greci, Pirandello: come da formazione scolastica), più i libri d’arte, tantissimi, più i Meridiani. Però mi è successa una cosa orribile: Einaudi ha cambiato formato agli Struzzi, e il mio ordinamento per editore è andato a pallino».
Nevrosi, ma innocua. «La peggior nevrosi è questa: trascrivo i titoli dei miei libri a mano in una vecchia agenda, così so dove sono».
Da bambino leggevi? E tuo figlio legge? «Io ho avuto il privilegio di estati
lunghe e vuote, dove andavamo non prendeva il segnale tivù. Leggevo tantissimo, di tutto, dai classici ai fumetti. Chiunque oggi abbia figli sa che è disonesto dire loro che leggere è meglio che navigare: se esce Il gobbo di Notre Dame, fra libro e film la scelta è ardua. Mio figlio ha l’immensa fortuna di frequentare a Milano una scuola straordinaria, che si chiama Nuova Educazione, dove danno valore al tempo, e viceversa. Questo mi fa ben sperare»." (da Giovanna Zucconi, Come ti mando i libri in cima alle classifiche, "TuttoLibri", "La Stampa", 14/05/'11)

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