venerdì 17 settembre 2010

Vittorio Foa, il Novecento di un uomo libero e inquieto


"Domani Vittorio Foa avrebbe compiuto cent'anni. E il modo migliore per ricordarlo - devono aver pensato i famigliari - è di assecondare la sua allergia al mausoleo e alla retorica, essendo lui il primo dissacratore di se stesso. Per restituirne l' irrequietudine e l'integrità, le passioni e le illusioni, soprattutto quell' attitudine al confronto efficacemente resa dall'intercalare "comprendi?" non poteva esserci niente di meglio che Scelte di vita, il libro che Einaudi sta per pubblicare con le conversazioni tra Foa e cinque amici anche di diversa generazione ma tutti capaci di aiutarlo nel riannodare i fili della memoria (a cura di Andrea Ricciardi,). I compagni di questa avventura sono Claudio Pavone, Carlo Ginzburg, Giovanni De Luna, Pietro Marcenaro e Vittorio Rieser, e i dialoghi ci introducono nel "dietro le quinte" dell'autobiografia di Foa, Il cavallo e la Torre, scaturito anche dal lavoro di scavo nel passato esercitato tra un bagno di mare e una cena sotto la pergola - come annota la moglie Sesa Foa nell'introduzione - nella casa di Grunuovo di Castelforte, nel Basso Lazio, tra il dicembre del 1984 e il luglio del 1985. «Perché Vittorio non scrivi di te, della tua vita?», l' aveva sollecitato Natalia Ginzburg sulla spiaggia di Formia. Non poche le perplessità iniziali, superate dalla persuasione che solo attraverso lo sguardo degli altri avrebbe potuto raccontare la sua storia. Da qui le conversazioni con gli amici che attraversano in modo irrituale la storia del Novecento, mescolando biografia individualee sentimenti collettivi, vita e politica, in un gioco di provocazioni e rimandi di cui Foa riesce ad essere sempre il regista. Il carcere, l'antifascismo, la Resistenza, l'azionismo, il socialismo tra moderatismo e radicalità, l'idea del progresso e la paura della morte, il movimento operaio e l'eterogenesi dei fini: non c'è pagina della sua vita che venga riletta in modo enfatico o prevedibile, il rapporto con il mondo vissuto in forma di eterna domanda (una consuetudine attribuita a gesuiti ed ebrei, spiega in una lettera alla figlia Bettina). E vissuto anche con il cannocchiale rovesciato, secondo Jankélévitch l'essenza stessa dell'ironia, quella che lo spinge a definirsi "don Giovanni della politica" per la sua tipica irrequietezza nel lungo viaggioa sinistra, e anche "vacca sacra dell'antifascismo" per irridere il processo di santificazione di cui era involontario beato. Curiosità e "nostalgia di futuro" animano anche i saggi pubblicati da Bollati Boringhieri (Scritti politici. Tra giellismo e azionismo 1932-1947, a cura di Chiara Colombini e Andrea Ricciardi) e il film di Pietro Medioli Per esempio, Vittorio, in cui è lo stesso Foa a raccontarsi (Casa del cinema). Un convegno alla Camera lo ricorderà martedì 21.
«Non hai rimpianti?», gli domanda Pavone nell'ultima pagina di Scelte di vita. «Avrei voluto fare il cardinale, ma era troppo faticoso», è la risposta del padre costituente. No, il monumento non fa per lui. Sembra di scorgerne il sorriso." (da Simonetta Fiori, Vittorio Foa, il Novecento di un uomo libero e inquieto, "La Repubblica", 17/09/'10)

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