sabato 4 luglio 2009

Ora per vendere i classici ci vogliono sponsor 'giovani'


"Da qualche anno ormai, in Italia, il recupero del classico, la ricerca affannosa
nel catalogo storico, inteso sia in termini estetici sia storici, è
diventato un tipo di operazione diffusa in collane riadattate per l'occasione, o del tutto rifondate. Se alcuni piccoli editori, pensiamo a Passigli, a Robin, a Frassinelli, hanno fatto della ristampa dei classici delle letteratura la loro principale vocazione, presso i grandi editori, sempre di più, si stanno aprendo cantieri dove ricostruire, per quanto possibile, dopo lungo abbandono, il tanto odiosamatocanone. Tutti quegli editori, dunque, che possano vantare un catalogo, se non storico almeno di una qualche durata, si sono posti la questione di come rivalutare, quando possibile, collane o singoli testi, che avessero qualità o passati illustri. E' così che li vediamo correre a perdifiato a ripubblicare un Charles Dickens con tanto di fascetta attorno alla copertina e volto d'attore in costume perché ne è stato fatto adattamento per il cinema o una serie a puntate in tv. Magari capita anche un Henry James semplificato, una sorella Brontë tutta in veste sentimentale, una George Sand misconosciuta, fino ad arrivare, nel Novecento, a Richard Matheson (quello di Io sono leggenda) che ora è declinato in tutte le sue possibili varianti, fantascientifiche e dopatissime. Aspettiamo adesso, dopo il film di Jane Campion, una reprise del carteggio tra John Keats e Fanny Browne in versione tardo romantica che taglierà via, naturalmente, tutti gli aspetti più materiali del loro contrastato rapporto. Quando invece non si trovano ragioni esterne trainanti, alcune case editrici, montanoil cosiddetto «caso» che, in verità, altro non è che un aggancio ad una tradizione di genere. E' successo a Somerset Maugham ripescato dopo almeno vent'anni da Adelphi: a cascata, ne è discesa l'edizione minuziosa e capillare di ogni suo minimo scritto per altri editori. Con successo la Bur Rizzoli ha provato, ma sembra che l'esperimento si sia già concluso, a riportare in luce scrittori e scrittrici molto noti nella loro epoca ma poi insabbiati dal cambiamento di rotta delle mode che li aveva eletti (Maeve Brennan e Mavis Gallant) inserendoli nel gusto per i personaggi eccentrici e consumati dalla vita, quel gusto cioè che predilige l'impasto tra vita e opere, come si diceva una volta, oltre il puro piacere della lettura. E poi, naturalmente, e per fortuna, ci sono le ristampe, quelle che vanno in automatico e che consentono ancora, nonostante tutto, di rintracciare per poche lire adeguatamente introdotti e annotati, con tanto di apparati biobibliografici, i grandi classici - e cioè i riconoscibilissimi Classici Garzanti, Oscar Mondadori, Bur, Universali Feltrinelli - dalla vita parallela, quella umile da grande tiratura, dove ancora le traduzioni risalgono al dopoguerra con buona pace di tutti, editori e lettori. Solo un editore raffinato come Quodlibet da Macerata (che gode di un comitato scientifico composto da Gianni Celati, Paolo Nori e Ermanno Cavazzoni) si può permettere il lusso di riproporre, intesa vecchia traduzione dell'Oneghin di Ettore Lo Gatto. Ma un simile episodio è in vera controtendenza rispetto al sentire degli editori più grandi: un classico, ormai (se non è inquadrato nelle letture scolastiche obbligate, se no nè compreso nelle liste dei libri da leggere per l'estate che ogni fine anno, alla chiusura delle scuole, i professori si scambiano pressoché immutate di generazione in generazione), si pensa fatichi a fare la sua strada, si perde, inciampa, finisce per non essere più ristampato, né dal suo primigenio editore né da altri, sballottato tra diverse collane, quando va bene, per la volontà di un singolo editor che coraggiosamente ci vuole provare ancora (pensiamo alla tragica vicenda dell'edizione di Georges Perec in Italia, pubblicato dapprima da Bollati Borighieri, poi da Bompiani e, da ultimo, rieditato a singhiozzo da Einaudi in una collanina collaterale, per fare un solo esempio).
E dunque, pensano ancora gli editori, sono necessarie delle sirene, degli specchietti per le allodole, delle strategie di mercato, per provare a rinverdire nomi che appaiono ammuffiti, in odore di abbandono. Uno di questi espedienti consiste nel creare un cortocircuito tra antico e moderno, accostando ad un autore classico uno scrittore contemporaneo che abbia il compito solenne di rifuggire qualsiasi intento pedagogico dalla sua prefazione. Piuttosto, allo scrittore di grido, si richiede una nota seducente, una chiosa evocativa, un cammeo autobiografico. Farà gioco la stringata quarta di copertina firmata da Andrea Bajani a Mark Twain? Quante copie riuscirà a guadagnare in più Melania Mazzucco firmando due righe di accompagnamento a Edith Wharton? E Simona Vinci, introducendo Alice nel paese delle meraviglie, farà sul serio la differenza? Joseph Conrad ha bisogno di Dacia Maraini per essere considerato «un grande scrittore»? L'emerita e mai abbastanza lodata Bur, ha poi deciso per festeggiare i suoi sessant'anni di vita, di utilizzare, in nuovo formato tutto colore, i titoli più prestigiosi del catalogo e di farli accompagnare da prefazioni ad hoc di noti intellettuali contemporanei. Se alcune accoppiate funzionano (Stendhal/La Capria; Campanile/Severgnini per citarne alcune) altre sono invece meno efficaci (Aristofane/Costa; Belli/Celestini). Certo però l'iniziativa è esemplare rispetto ad un fenomeno che ha ancora i tratti della sporadicità ma che, anche sulla scia delle operazioni popolari (e molto seguite) condotte dalla Newton Compton, sarà presto imitata da molti." (da Camilla Valletti, Ora per vendere i classici ci vogliono sponsor 'giovani', "TuttoLibri", "La Stampa", 04/07/'09)

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