venerdì 31 luglio 2009

L'ubicazione del bene di Giorgio Falco


"La colonna sonora è il ronzio petulante delle motofalciatrici giapponesi, laborioso, a tratti rabbioso, interrotto da singhiozzi quando le lame maciullano una lumaca. Bambini ce ne sono, ma poche grida di giochi collettivi: stanno ciascuno in cameretta davanti alla Playstation. Se è domenica, davanti al box papà lava la macchina. Scene di vita periurbana nella pianura lombarda, parvenze di benessere conquistato all'ombra delle villette dei 'centri residenziali' venduti come piccoli paradisi della 'fuga dalla città'. Schermi che nascondono retroscena di depressione, solitudine, desolazione, perfino follia. Così almeno secondo Giorgio Falco, l'unico scrittore italiano che si sia accorto di quella malattia che si può chiamare suburbitudine, di quello scenario sociale che oltreoceano ha creato i racconti di Carver, i film di Altman, le fotografie di Shore o di Owens. Il suo libro di racconti, L'ubicazione del bene (titolo geniale, rubato al gergo catastale), pubblicato qualche mese fa da Einaudi, una collezione di storie disperate, a volte minimali e a volte estreme, ambientato nell'immaginaria Cortesforza, lottizzazione residenziale da qualche parte tra Abbiategrasso e Vermezzo, ha ricevuto grandi elogi dalla critica ma non si può leggere solo come un esercizio di stile letterario: sotto mentite spoglie è un saggio di sociologia urbana, il primo a descrivere una crisi che non fa rumore, il sordo 'male del nord', il tramonto del sogno del ceto medio affluente nell'era post-mercatista, lo 'stravaccamento' morale di quei maturi ragazzi che in anni ormai lontani chiamammo yuppie, preppie e con altri nomignoli infantilmente passeggeri. Falco, 42 anni, li osserva fin da bambino. Ne avvistò lo sbarco entusiasta e quasi prepotente, dalle station wagon prima che da suv, quando pedalava sulle stradine attorno ad Abbiategrasso. Vide piantare nel nulla della campagna urbanizzata i cartelli che annunciavano le future 'corti', i 'borghi' di un lusso finto-rustico. Ha continuato a osservarli per anni. Si è fatto un'idea: 'E' la più grande ma ignorata emigrazione di classe degli ultimi decenni, la prima a coinvolgere un ceto benestante, e come tutte le migrazioni di massa ha finito per corrodere l'anima delle sue vittime'. I deportati del benessere? Ma nessuno li ha obbligati. 'Certo che no. Hanno scelto. Hanno sfogliato i cataloghi delle immobiliari, hanno letto le descrizioni di paradisi residenziali "immersi nel verde" ma "a soli venti minuti dal Duomo", dove "far crescere i vostri figli in un contesto adeguato" oasi di pace dai nomi dolci, Eden, Green, o evocativi, Corte, Borgo. Hanno comprato, pagando caro, la villetta "terra-cielo" vista sul plastico, piantata in nessun luogo preciso, in un agglomerato edilizio che non sarà mai un paese. Dove il "verde" non è la campagna del Kent ma rettangoli di coltivazioe industriale, fabbriche di soia e mais, territorio senza identità né estetica. Dove il "contesto adeguato" finisce ai bordi del cortile, dove "vivere nella natura" vuol dire fare dieci chilometri per andare a comprare l'insalata in busta di plastica all'ipermercato, dove i "venti minuti dal Duomo" sono un'ora di coda in auto che ti sfinisce ...'. Così sembra un inferno. Allora i casermoni della periferia milanese cos'erano? 'Anche quelli erano il luogo di un'emarginazione sociale: dei ceti operai, degli imigrati meridionali. Ma era un'emarginazione palese, dichiarata, percepita come un sopruso, ed ebbe anche una sua epica di protesta e di riscatto collettivo, ebbe luoghi in cui quest'epica potè maturare, fossero il dopolavoro o il bar sport. Ebbe scrittori e registi che la raccontarono. Nulla di tutto questo nei posti come la mia immaginaria Cortesforza'. Cosa, invece? 'Una lateralità subìta, una delusione sorda, inconscia, un senso di tradimento avvertito solo dai più consapevoli, che sono quelli che soffrono di più'. Nell'Ottocento si parlò di 'architettura perniciosa'. Non starà dicendo che le villette a schiera fanno male allo spirito ... 'La villetta in sé non ha colpe. E' una merce, ma è stata venduta e comprata come un nuovo modo di vivere, anzi: come un nuovo modo di essere. Affascinante per la generazione dell'ascesa di classe, dell'arrampicata sociale. I figli dei ceti impiegatizi e operai, diventati ceto medio, hanno visto la fuga dalla città come un modo di rompere pericolosi legami con un passato che poteva ancora riprenderli: via dalla promiscuità del condominio, via dalla vita grama che hanno fatto papà e mamma. Ricordo un amico di famiglia che si trasferì in un posto chiamato Milano San Felice, verso Segrate, alla fine degli anni Settanta. Lo andammo a trovare, a me dodicenne sembrò un luogo da fumetti, c'era Linate vicino, gli aerei nel cielo ... Mi parve il paesaggio di una nuova era'. Che cosa non ha funzionato? Dove si è rotta la promessa? 'Non era una fuga dalla città per andare incontro a una vita più "a misura d'uomo" ... Era una fuga nel nulla. Anzi, no, nel caos. Attorno a questi grappoli edilizi non c'è un ambiente naturale, c'è un magma suburbano in movimento. Un campo coltivato può diventare, in un mese, un parcheggio o un centro commerciale, è territorio né più rurale né ancora urbano, sospeso in attesa di sfruttamento, una giungla tecnologica dove anche gli animali domestici sembrano sul punto di ribellarsi. Lo spazio non ha una direzione, non ha una direzione, non ha un ordine, ha solo un centro gravitazionale lontano che è sempre la grande città, il cui campo magnetico sconvolge ogni cosa. Non è decentramento residenziale, è quello che gli americani chiamano urban sprawl, con una parola che significa, più che dispersione, stravaccamento. Quando una società è stanca, si stravacca dove capita, sparge le sue membra in disordine. Questa è la suburbanità italiana'. Negli Stati Uniti è successo molto prima: a loro è andata meglio? 'L'America aveva spazi immensi. Le distese di quartieri di casette monofamiliari sorgevano davvero in un vuoto in cui era possibile costruire da zero la propria avventura familiare, come ai tempi della Frontiera. In Italia questo spazio vergine non c'è. C'è solo un territorio compresso, interstiziale, già stretto, che può solo essere stravolto da queste nuove intrusioni edilizie. Non oso pensare a cosa sta per succedere, che so, attorno agli antichi paesi della Toscana'. Lei vive in una villetta a schiera? 'In una vecchia casa del centro di Vigevano, con vicini normali, che incontro per le scale e saluto, ma che sono ancora lì forse per caso. Avrebbero potuto finire anche loro a Cortesforza'. Preda della speculazione edilizia. 'Non credo sia stato solo questo. Non sono uno che vede complotti dappertutto, ma quando una migrazione investe un'intera classe sociale, allora non credo che siano in gioco solo meccanismi economici di profitto. Disperdere il ceto medio sul territorio, allentarne i legami sociali può essere parte di un progetto politico. Non voglio semplificare, ma la zona dove ho collocato idealmente Cortesforza ha votato a destra. In questi agglomerati che non reiscono a diventare comunità, la politica cambia volto, si frantuma. E' paradossale, ma è qui, dove non esiste identità locale, che attecchisocno le liste civiche con nomi tipo "Insieme per". Non è segno di amore per il luogo, ma di terrore del vuoto'. Per mantenersi in contatto con il mondo ci sono nuovi strumenti ... 'Ma la contraddizione tra connessione virtuale e isolamento dei corpi può essere esplosiva. Hai l'e-mail, ma se spunti male la siepe fai a botte col vicino'. Non si può ceracre di "ubicare il bene" altrove, visto il fallimento di questo modello? 'Le immobiliari continuano a vendere "paradisi nel verde" con un linguaggio ormai pigro, di cui gli stessi acquirenti riconoscono la falsità. C'è come un'inerzia difficile da fermare. Ormai la gabbia dorata mostra le scrostature, tutti vedono che è solo smalto, ma non ci sono alternative. Nel mio libro, un personaggio, per ribellione decide di cucinare le cose del suo orto. Ma trova un verme dentro il cavolfiore'.". (da Michele Smargiassi, Profondo Nord. Suburbitudine, il male oscuro che colpisce i deportati del benessere, "Il Venerdì di Repubblica", 31/07/'09)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Molto convincente. Comprerò il libro...

fabio, milano