sabato 11 luglio 2009

Maurizio Cucchi. La poesia al tempo del consumo


"San Benedetto del Tronto, riviera adriatica marchigiana. Città di palmizi e colti dispacci. Sabato 18 e domenica 19 luglio c’è il Festival internazionale della Poesia: autori selezionati, reading ipnotici, ospiti lontani (quest’anno si celebra l’arte poetica svedese). Parlarne col direttore artistico diviene d’obbligo, specie se costui si chiama Maurizio Cucchi: uomo di lettere a tiratura limitata. In-somma, un Poeta - contemporaneo – Sommo (assolutamente vietato leggervi l’ossimoro). «Sentiamoci via telefono fisso» dichiara. Perché? Per via della crisi? O, peggio ancora, perché la poesia è antiquariato d’ancien régime? Niente di tutto ciò: «Così capiamo meglio quello che diciamo» svela il Cucchi. Poi, esplicita il ricercato messaggio: «Nella poesia, forma e contenuto coincidono. Non c’è distinzione. Ogni dettaglio ha una sua funzione espressiva forte». La brama di condurre il discorso sulla delicata – quanto deplorevolmente qualunquistica – questione circa il senso della poesia, oggi, è troppo forte. E meno male che lui, il paziente Maurizio, coglie la rima al balzo e si sfoga: «Di questi tempi, lo spazio per la poesia dovrebbe essere rilevante - considerato che si parla di una forma espressiva impegnata e centrale – invece, così non è». L’intervistatore, allora, esprime il proprio militante disprezzo nei confronti della sottocultura televisiva che tutto ingurgita – e tutto rigurgita – omologando la domanda e offuscando le coscienze. Il saggio Cucchi, dal canto suo, estende il discorso: «E’, in generale, la superficialità delle comunicazioni a far si che, oggi, di poesia non ci si debba proprio occupare. Le cose vengono consumate troppo in fretta. La poesia finisce per essere surrogata nelle canzoni e nella cattiva letteratura. Il dover durare, per forza di cose, poco o pochissimo, svaluta la poesia e la rende priva di sostanza». L’argomentare si fa ostico e, così, il cronista, in maniera totalmente inappropriata, si vede costretto a raccontare un aneddoto sulle dolorose vicende umane di un giovane e sconosciuto poeta contemporaneo di provincia: «Nel suo curriculum, tra le molteplici attività che svolge, aveva scritto anche: poeta. Un esperto di risorse umane, però, gli intimò di levare immediatamente tale nefasta dicitura. Nessuna azienda l'avrebbe preso mai sul serio, così!». Il buon Cucchi sorride. La purezza della comunicazione via cavo permette di cogliere la sottile sfumatura di bonarietà da egli gustosamente sfoderata, la quale, nel giro di mezzo secondo, lo porterà a proferire: «Il poeta è testimone del suo tempo. Il poeta non può essere un idiota»." (da Damiano Laterza, Maurizio Cucchi. La poesia al tempo del consumo, "Il Sole 24 Ore", 11/07/'09)

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