Biblioteca civica "MINO MILANI" bibliogarlasco@yahoo.it tel. 0382/801009 "Le paradis, à n'en pas douter, n'est qu'une immense bibliothèque" (Gaston Bachelard) SELEZIONE DI ARTICOLI SULL'UNIVERSO-LIBRO
venerdì 19 novembre 2010
Aldo Nove, La vita oscena
"La vita oscena, l'ultimo romanzo di Aldo Nove in uscita per Einaudi Stile libero, è un libro potente ed emozionante, che piacerà a chi ha amato questo scrittore fin da Woobinda, il suo sorprendente esordio, ma anche a chi traccheggiava, un po' sconcertato davanti alla sua prosa letterariamente sconfitta e smangiucchiata. È una specie di spin off di un altro suo romanzo, Amore mio infinito, che raccontava la biografia sentimentale di Matteo, «venditore di vasche per il pesce in acciaio inox 316», ma con Aldo Nove al posto di Matteo. Grazie al vincolo dell'autobiografia, lo scrittore abbandona l'adolescenza come luogo dell'anima ma anche della scrittura, si toglie di dosso quanto più possibile artificio ed effetti speciali, approdando a una maturità stilistica che commuove per rigore e passione. Il protagonista, uno stordito Parsifal alla ricerca di neanche lui sa bene cosa, rincorso dal dolore del suo immendicabile lutto si sottopone a un'ordalìa di prove iniziatiche. Senza mai tirarsi indietro, convinto che non ci si possa fermare fin quando tutto non sia compiuto.
Di solito uno scrittore, soprattutto se ha a disposizione una biografia straordinaria come la tua, decide di giocarsela subito, nel primo libro. Come mai tu invece hai aspettato così tanto?
«Quando ho pubblicato il mio primo romanzo (Woobinda, 1995, n.d.r.) avevo urgenza di raccontare il mondo che mi circondava. Sentivo di avere una specie di compito da svolgere. Volevo marcare i confini della mia esperienza e del mondo. Avevo bisogno di definire, per comprendere. Ma c'è qualcos'altro, ed è il dolore stesso. Diciamo che adesso mi sono sentito pronto, non solo come scrittore. Dovevo acquisire un distacco sufficiente, un altro sguardo per poter scrivere di quanto ho vissuto».
A un certo punto il tuo protagonista, di fronte alle immagini di una rivista pornografica, dice: «Lessi l'intero servizio, le parole, parole volgarissime e sacre, ripetizioni liturgiche dell'osceno, entravano in me una a una, come purificando i pensieri da tutto ciò che non fosse sporco e non fosse lì». Che cos'è, oggi, l'oscenità?
«Quando io ero un ragazzino, andavamo a cercare le riviste porno nella spazzatura. Erano segrete, proibite e residuali. Per questo erano salvifiche. La pornografia era l'altrove, la salvezza stava nello scarto. Attraverso la pornografia conoscevamo il mondo. Ma il mondo, oggi, è completamente pornograficizzato. La politica, la cultura i rapporti umani. La sensazione è quindi quella che non ci sia più niente da scoprire. Roland Barthes diceva "osceno è ciò che si propone come erotico ma non lo è affatto". A me sembra che l'oscenità, oggi, sia il non saper dare confini alle cose. Tra fantasia e immaginazione, tra realtà e finzione, tra politica e pornografia».
C'è una scena che mi piace moltissimo. Quando il protagonista, ricoverato in ospedale, riceve in regalo dalla zia una bottiglia di un'imitazione da discount della Coca Cola, che lo intenerisce e lo commuove. La pietas per gli oggetti, un tema che ti è sempre stato caro ...
«Perché cruciale nella nostra storia. È come se avessimo trasferito nelle merci parte delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti. Pensa a Carosello. Mi ricordo un'immagine de L'illustrazione italiana: famiglia felice, col sole sul volto, padre madre e due figli che uscivano da un negozio col frigorifero nuovo. Noi abbiamo caricato le merci di affetto e amore. Ma poi è successo che quelle merci si sono moltiplicate e riprodotte a un punto tale che ci hanno sommerso. E si è creato un meccanismo di inversione. Le merci si sono umanizzate e gli uomini e le donne mercificati. Gli adolescenti sognano di diventare merci, aderire a un mondo dove le persone sono merci. È mostruoso e osceno, di nuovo senza confini. Come la pornografia, anche il commercio diventa enorme, e va a saturare tutti gli spazi. Questo ci impedisce di produrre immaginazione».
Il protagonista della storia sceglie la cocaina per compiere il suo rito di abiezione. È così che è andata anche a te? Pensi che la cocaina sia una metafora della nostra società?
«Lo è. C'è stato un tempo in cui attraverso la droga si cercavano esperienze mistiche e di evasione. Lsd, eroina, hashish servivano ad evadere da un mondo per scoprirne altri. La cocaina è il contrario. È la droga dell¿adeguamento, che ti permette di stare in un mondo, che lei stessa svela come allucinato. Entrare, e non uscire. Gli operai in fabbrica si fanno la cocaina per fare gli straordinari. Non per divertirsi, ma per produrre di più. Ci droghiamo per poter lavorare. Per me, al tempo in cui avevo deciso di arrivare al fondo, la cocaina era solo un vettore di morte».
Nel finale del libro, il protagonista ha una visione che interrompe la discesa agli inferi e, in qualche modo, lo traghetta dall'altra parte. Qual è il limite, fin dove si può arrivare?
«Il limite è la scoperta che per quanto tu possa scendere in basso, non troverai niente. Ma per capirlo devi attraversare la palude di putredine, come diceva Sanguineti. Per scrivere questo libro, per diventare grande, ho dovuto attraversare tutti i fantasmi del mio lutto, decifrarli, capirli, viverli. Per tutta la vita, non facciamo altro che tentare di soffocare i nostri fantasmi. Il più serio dei quali è il fantasma dell'altro, lo straniero. Ma se non li combatti, finisci per diventare tu il fantasma di te stesso».
Scrivere un'autobiografia significa provare a scrivere un libro nel quale tutto quello che scrivi è vero? «Anche un'autobiografia è un romanzo, e quindi partecipa dell'artificio. Quando scrivi metti in gioco un armamentario tecnico che è quello della lingua. Certo, tendi a dire la verità, ma già per il fatto di dirla la stai trasformando. Più che verità, direi sincerità. E precisione. Ho avuto sempre in mente una parola, mentre scrivevo questo libro: precisione. Per questo ho scelto di lavorare con meno cose. Senza effetti speciali»." (da Elena Stancanelli, La mia vita oscena. Aldo Nove: 'Dal dolore alla droga, racconto l'inferno che ho attraversato', "La Repubblica", 18/11/'10)
Oscena è la realtà ("Il Sole 24 Ore")
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4 commenti:
Ho appena aggiunto il tuo feed ai miei favoriti. Mi piace molto leggere il tuo post.
Ho voluto pubblicare qualcosa di simile sul mio sito e questo mi ha dato un'idea. Cheers.
Recentemente ho trovato il vostro blog e hanno letto insieme. Ho pensato di lasciare il mio primo commento. Non so cosa dire se non che mi sono goduto la lettura. bel blog.
Io di solito non post nel blog ma il tuo blog mi ha costretto a, fantastico lavoro .. bella ...
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