lunedì 29 novembre 2010

Misteri d'autore


"Alla base di Misteri d’autore (Aragno), trittico di studi dedicato a Gadda, Fruttero & Lucentini, Eco, stanno, con intima simmetria, almeno tre provocazioni, tutte oculatamente argomentate ma tali da dispiacere alle cerchie di gusto più esclusive. La prima è già chiara nel piano d’opera, che in nome del giallo novecentesco, e di una sua crescente nobilitazione estetica, affianca Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, La donna della domenica e Il nome della rosa. Ossia un monumento allo sperimentalismo espressionista, un romanzo supposto di consumo e il manifesto niente meno della riconversione postmoderna: solitamente dislocati, e per concorde parere su piani diversi del nostro sistema letterario.
Ciò non stupisce affatto in un saggista come Vittorio Spinazzola, decano della contemporaneistica italiana e incline per costume a un lavorio mitemente trasgressivo (non una nota a piè di pagina, non un rinvio alle ricerche altrui: cose che irritano forte la comunità dei dotti). Individuato nel poliziesco il genere più dinamico del secolo scorso, egli si prova a campionare alcuni esiti, tenendo in conto sia le reazioni della critica ufficiale sia il successo largo tributato loro dai lettori. Naturalmente non per fare un’apologia indistinta della formula, dello schema originario, ma per verificare secondo quali procedimenti essa tenda a stabilizzarsi nei piani medio alti della nostra letteratura. E grazie a un metodo che procede non già dal testo al codice, ma all’inverso, dal codice alle varianti concretamente realizzate: Gadda e l’ibridazione con il romanzo sociale; Fruttero & Lucentini per il brillante innesto di detection e ordine dei sentimenti; Eco con il giallo filosofico ed erudito di angolazione neostorica.
Siamo sinceri, una pagina del semiologo di Alessandria o del duo F & L non regge minimamente al confronto con Gadda. Ma non è questione qui di magistero stilistico, bensì di architetture, di modelli antropologici e comportamentali che il giallo favorisce. In questo senso – seconda provocazione -, Gadda invece di prevalere gloriosamente sui contendenti ne risulta sfavorito, prigioniero com’è di impulsi ad alto quoziente colposo, voyeurismo, tendenze matricide maldecantate, che non sembrano consentire una distensione organica della materia. Il proporsi aperto e inconcluso del Pasticciaccio diventa per conseguenza una menda piuttosto che uno slancio novatore; il suo rinunciare alla sintesi, un’inanità anzi che una disarmonia prestabilita. Non che Spinazzola mostri di transigere sulle manchevolezze dei colleghi: «spassose frottole pseudo-ecdotiche», definisce la prefazione apposta da Eco al Nome della rosa; così come ne censura l’orditura linguistica, soprattutto quando si innalza a episodi di estaticità ispirata («sovreccitazione a freddo») o quando abbandona la parodia per accorate ricette di vita («saggissimo melodrammatico»).
Nella Donna della domenica coglie senz’altro «una trama rilassata e divagante», e insomma il tipo del “romanzone” ottocentesco. Però tutti e tre i capi d’opera cantano alte le loro notevolissime ragioni, son date da Spinazzola con un gusto analitico che fa visibilmente perno sugli aspetti di tipo psichico e generativo, energetico, di slancio edificante. È ben vero che gli affezionati del giallo rifiuterebbero di riconoscersi in narrazioni di tale fattura; perché le resistenze, per così dire, vengono a un tempo dall’alto e dal basso. Ma proprio qui lo studioso milanese mostra meglio il suo moderatismo anticonformista, la sua medietà corrosiva: quando cioè si colloca sul piano sommamente strategico dei personaggi protagonisti, dei detective procacciatori di verità. E nel farlo – terza e finale provocazione - non mostra di intronizzare affatto il commissario Ciccio Ingravallo, con il suo cerebralismo esacerbato, talora fallace e desistente (non lo incanta lo “gliommero”, «metafora divulgativa del pensiero indeterminista»).
Né mostra soverchia simpatia per Guglielmo da Baskerville, emblema più che controfigura in carne di una intellettualità inorgogliata e meta temporale. Si schiera piuttosto affianco del bonario e sornione Santamaria, che nelle pagine di F & L spicca per onesta e lungimirante fattività piccolo borghese. Lui la vera figura di mediazione tra ordine e disordine, che il giallo classico prevede (e qui tornano illuminanti le note introduttive al volume che suggeriscono una disgiunzione strutturale tra poliziesco e noir).
Occhiuto e persino severo con Gadda ed Eco, Spinazzola appare in sostanza più generosamente disposto verso F & L. Si può capire il privilegiamento: nei modi, bisogna ripeterlo, di una trasgressività moderata, lo studioso milanese è in cerca di opere che istituzionalmente, non eccentricamente, sanciscono la fortuna del giallo novecentesco. Riguardo a tale ascesa, o rottura del tabù elitaristico, sarebbe se mai da discutere circa il ruolo preminente che egli assegna al Pasticciaccio, vera testa di serie entro la canonistica maggiore. Altrettanto e forse più a contribuito Sciascia con Il giorno della civetta e con il Capitano Bellodi, sfortunatamente inedito eroe della lotta antimafia. L’ingegnere ha agito fuor di dubbio, e chissà con quanta intenzione, presso i gruppi esteticamente più squisiti; in siciliano a ricompensa dei lettori più sensibili in senso civico (e benché meno autorevoli, i secondi sembrerebbero maggioranza rispetto ai primi). Ma sono dettagli, abrasioni fisiologiche dinanzi a un ragionare sempre intenso ed elegantemente fluido volto a celebrare i meriti di un genere quanto mai interclassista e multiculturale. O meglio: a considerare nella coscienza critica dei contemporanei una forma di «intrattenimento ludico non degradante», che mentre amplia i margini del sistema, mostra di insidiarne i pregiudizi più sclerotici (un plauso ci sia concesso all’editore, per il prezzo singolarmente contenuto del volume)." (da Bruno Pischedda, F & L battono Eco e Gadda, "Il Sole 24 Ore Domenica", 28/11/'10)

Nessun commento: