venerdì 5 novembre 2010

Pierre Nora: nell'era del Web siamo intellettuali di servizio


"L'intellettuale impegnato è morto, viva l'intellettuale democratico. Nel suo ufficio della maison Gallimard, lo storico Pierre Nora tiene sulla scrivania il numero che celebra i trent'anni della rivista Le Débat, incessante laboratorio di idee, punto di riferimento della vita culturale francese, spesso in chiave polemica e anticonformista. "E' vero che il nostro lavoro può sembrare un po' antico e forse austero in quest'epoca che premia la comunicazione, più che la riflessione. Siamo poco consensuali, ma non ci dispiace". Membro dell'Accademia di Francia e direttore del dipartimento Scienze sociali di Gallimard, Nora ha contribuitoa pubblicare, tra gli altri, i saggi di Raymond Aron, Michel Foucault, François Furet e Jacques Le Goff. Insieme al numero sul trentennale, ha dato alle stampe anche uno speciale intitolato De quoi l'avenir intellectuel sera-t-il fait?, la domanda che aveva inaugurato l'esordio della rivista, fondata nel 1980 insieme al filosofo Marcel Gauchet, riproposta ad alcuni degli autori dell'epoca e a nuovi giovani pensatori degli anni Duemila. Pierre Nora, ce lo dica lei: di cosa sarà fatto il nostro futuro intellettuale? «Un paragone storico con il 1980 sarebbe impossibile. Di mezzo, c'è la fine della Guerra Fredda, la disgregazione del sistema sovietico, l'onda lunga della globalizzazione, il nuovo mondo che si affaccia dall'Asia. Nel nostro anniversario abbiamo isolato cinque nuovi assi del pensiero: la spinta all' individualismo, il ritorno delle religioni, la nascita di una coscienza ecologica, l'importanza della ricerca scientifica e la rivoluzione delle comunicazioni digitali. Ma è lo stesso modo di riflettere che oggi è cambiato. In questo periodo c'è stata come un'atomizzazione del pensiero, non esiste più un centro di gravità, i giovani intellettuali non si sentono più parte di una generazione. Sono isolati nel loro lavoro, hanno difficoltà ad emergere. Molti autori del nostro primo numero avevano meno di trent'anni. Oggi confesso di aver difficoltà a rintracciare pensatori così giovani. Ce ne sono, certo. Ma pochi e ben nascosti». Su Le Débat, lo scrittore Regis Debray dice che ora il vero potere intellettuale è Google. «E' un' affermazione un po' schematica ma Debray non ha torto. L'egemonia dell'ideologia o del pensiero è stata sostituita da quella della tecnologia. Dentro a Internet si può trovare tutto e il suo contrario. Noi siamo chiamati a fare da interpreti di questa democrazia intellettuale. Per fortuna, non ci sono più maître à penser e profeti. Quel che serve è un ruolo di analisi e divulgazione più modesto, direi quasi di servizio. Ma non sarò certo io a rimpiangere il 'grande intellettuale' che dal suo pulpito diceva la prima cosa che gli passava per la testa». Infatti lei ha fondato Le Débat per rompere con la militanza del famoso intellectuel engagé. «La nostra ambizione, allora, era sottrarci al feudalesimo politico degli intellettuali che spesso ricoprivano una funzione servile, a volte compromettente ed esclusivamente decorativa. Volevamo invece affermare l'indipendenza e l'autonomia di un'attività libera e ugualmente necessaria. Quelli erano gli anni di una sinistra che arrivava al potere in uno stato avanzato di dissoluzione ideologica. Ed era anche il momento dei nouveaux philosophes che hanno portato la figura dell'impegno intellettuale a rinchiudersi nel campo politico e mediatico». Quella tradizione, par di capire, è morta e sepolta. «E' rimasto quello che io chiamo l'intellettuale mediatico. Una dozzina di nomi, il più famoso dei quali è ovviamente Bernard-Henri Levy. In effetti, è la fine di una grande storia, cominciata con Voltairee Zola. Ma non dobbiamo dimenticare che l'affaire Dreyfus, grazie alla quale è nata la figura dell' intellettuale moderno vissuta fino a Sartre, è stata anche l'epoca dei totalitarismi. Proprio la morte di Sartre, nel 1980, ha aperto una nuova fase. Per un periodo, la vita culturale francese ha beneficiato di un clima di apertura in tutti i campi. Settarismo e terrorismo, contro i quali erano insorti alcuni di noi, erano in declino. Purtroppo sono minacce tornate di stretta attualità».
Qual è allora il ruolo dell' intellettuale del Duemila? «Viviamo in una società sempre meno decifrabile, nella quale si dedica poco tempo alla riflessione e molto alla comunicazione. Un mondo prigioniero di un presente perpetuo, condannato allo zapping e all'onnipotenza dei media. E' un'epoca, la nostra, nella quale la vita politica è chiusa nei giochi di ruolo edèa corto di idee. Manca la giusta distanza, la prospettiva. Noi intellettuali non dobbiamo dire ai politici cosa devono fare, ma illuminare le loro azioni. Non dobbiamo fornire ai cittadini giudizi preconfezionati, ma renderli davvero padroni delle loro scelte».
Il fatto di avere un capo dello Stato allergico agli intellettuali può incidere? «La vita politica riflette quella intellettuale. Quando senti il presidente della Francia dire che trova noiosi libri come la Princesse de Clèves c'è in effetti di che preoccuparsi. Persino Jacques Chirac, forse il meno intellettuale dei nostri presidenti, aveva più gusto per la vita culturale. Nicolas Sarkozy è l'immagine di una generazione energica, sempre nell'azione. Non so dire se sia il simbolo di un provincialismo nazionale destinato a durare. Forse tra due anni la sua parabola sarà conclusa. Quello che è certo, invece, è che oggi la figura chi lavora nelle scienze sociali non ha più la forza civile e la credibilità di un tempo. In questi anni si è compiuta la dissociazione definitiva tra l'intellettuale come figura sociale e attore politico, e quello che produce idee e conoscenza. Il motivo è semplice. Sono venute meno le cinghie di trasmissione tra questi due mondi, ovvero i partiti e la scuola».
Non è una buona ragione per impegnarsi ancora di più nella vita pubblica? «E' vero, bisogna resistere alla tentazione di salire sull'Aventino. Al tempo stesso, non ci si può ridurre a fare gli istrioni per catturare un po' di pubblico. Solo cercando gli strumenti per capire un mondo sempre più complesso si può davvero tentare di cambiarlo. Purtroppo la nostra attività di studio e analisi avviene a circuito chiuso e quasi sempre nell'indifferenza generale. Ma è anche vero che agisce in profondità, e i risultati si vedono sul lungo periodo. Non bisogna avere paura di essere minoranza. Come diceva André Gide, il mondo sarà salvato da qualche persona»." (da Anais Ginori, L'egemonia di Google, "La Repubblica", 04/11/'10)

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