mercoledì 10 febbraio 2010

Il decalogo di Margaret Atwood


"Di sicuro, lei, non ne ha bisogno. E poi, dopo decenni passati a scrivere libri e ad avere successo, deve essere routine, incontrare qualche piccolo blocco. Lei è Margaret Atwood, celebrata autrice canadese, più di trenta libri firmati, premi letterari a raffica, ogni anno, si dice, lì lì per vincere il Nobel. Il suo ultimo romanzo, The Year of the Flood è finalista all'Orange Prize e lei gira il mondo per promuoverlo. Non si annoia, però, anche perché è perennemente connessa e dialoga con i suoi fan su Facebook, con Twitter e con il suo blog. Dal quale, recentemente, si è divertita a dare qualche suggerimento su uno dei temi più spinosi (e tipici) che le vengono sollecitati dai lettori. Che fare quando non si riesce ad andare avanti col proprio libro? Come superare il «blocco dello scrittore», insomma?
La storia della letteratura è piena di esempi, di «bloccati» e di rimedi per andare avanti: dai classici Coleridge o Fitzgerald ai contemporaneissimi Jeffrey Eugenides o il nostro Alessandro Piperno che ha ammesso pubblicamente di essere in difficoltà a consegnare il suo secondo libro, difficoltà adombrate ancora qualche giorno fa sul «Corriere» con il lungo elenco di domande in occasione della morte di J. D. Salinger.
Abbiamo provato a far leggere a qualche autore italiano il decalogo della Atwood e a chiedere le loro istruzioni per l'uso. Ne viene fuori una decisa maturità dei nostri scrittori sul tema e uno spirito assai garibaldino nell'affrontare la questione. Per iniziare, Giuseppe Genna (che ha appena chiesto sul web ai lettori di "votare" per quale editore pubblicare e torna in libreria a marzo) va controcorrente: «Il blocco dello scrittore è un momento di santità e di liberazione. Non credo esista la necessità della letteratura. Ritengo che chi ha vissuto avvertendo di continuo il blocco dello scrittore, e in realtà non smettendo un attimo di scrivere (mi viene in mente Kafka), abbia sfiorato la libertà dal mondo». Idee simili rivendica Nicola Lagioia, editor e autore in proprio del bellissimo Riportando tutto a casa (Einaudi): «È un falso mito. Uno scrittore di prim'ordine non lotta con la sindrome della pagina bianca ma con i complicati, faticosissimi, talvolta insuperabili problemi che il progetto in cui si è già lanciato comporta. Abbiamo un'indole prometeica, e il problema non è mai spiccare il volo ma come sfracellarsi al suolo con un certo stile». Addirittura Carlo De Amicis (ultimo libro La guerra dei cafoni) esalta il blocco: «Se la macchina ogni tanto non parte, non si inceppa, non sbaglia strada, vuol dire che qualcosa non funziona. Mi fido, insomma, molto di più dei miei dubbi, dei miei attriti, delle mie "false partenze" (come le chiamava La Capria) che non dei momenti in cui mi sembra che tutto fili liscio».
C'è chi teme l'inizio e non se lo nasconde. Elena Loewenthal, finalista all'ultimo Campiello, sa ormai come aggirarlo: «La pagina bianca mi incute sempre paura. Quando non so come cominciare – e so che una volta cominciato, il più è fatto – mi alzo, faccio il giro della stanza. Il cioccolato aiuta, ma solo se è almeno un 80% di cacao. Ha ragione la Atwood: a mali estremi, estremi rimedi. La doccia, ad esempio. Aiuta eccome. E comunque, uno stato di assoluta solitudine».
Di reclusione, invece, ha bisogno Paolo Giordano, il fenomeno letterario italiano degli ultimi anni, con La solitudine dei numeri primi (presto al cinema). «Alle passeggiate decongestionanti», come propone la Atwood, «io preferisco la cattività. In caso di blocco, mi costringo nella stanza, orbito attorno al computer acceso, mi tormento e sì, pilucco qualunque cibo vi sia nei paraggi (ma di cioccolato non ne ho mai). Finché, ore più tardi, lo sfinimento mi porta un sonno liberatorio. Al risveglio, ancora intontito, attacco a scrivere, in modo sconclusionato, sciattamente, senza preoccuparmi dei legami con il paragrafo precedente. Un pensiero in testa c'è comunque, poco interessante, confuso, bizzarro che sia. Di questa stesura disperata non sopravviverà quasi nulla, ma rileggendola farò almeno una scoperta. Ogni blocco della scrittura è solo l'incubazione di un'idea sorprendente».
Per il giallista Patrick Fogli (da leggere Il tempo infranto) l'importante è sapere quando è il momento esatto di partire. «Non ho un elenco di punti come la Atwood. Ho una strategia sola. Non scrivo fino a quando non ne posso fare a meno. Fino al momento in cui devo sedermi alla tastiera e buttare giù la storia. E questo accade, di solito, quando mi gira già in testa da diversi mesi e ha cambiato aspetto almeno una decina di volte».
Anche Giorgio Vasta, rivelazione con Il tempo materiale, ci tiene a distanziare il problema. «Il "blocco dello scrittore" si colloca tra quelle piccole mitologie che probabilmente sono integrazioni indispensabili della pratica letteraria. Se la scrittura fosse solo puro flusso immediato, del tutto estraneo al tormento e alla crisi, risulterebbe poco reale e poco credibile». E però, «considerato che tutte le indicazioni della Atwood sono sensate e ironiche, mi permetterei di aggiungerne una: scrivere in forma di lettera». Ernesto Ferrero (premio Strega per N. nel 2000) sposa i consigli della Atwood. «Di solito le difficoltà stanno nella partenza: trovare la concentrazione, il tono, il ritmo giusto. In corso d'opera, il blocco è una specie di segnale che qualcosa nel meccanismo non gira. E può riuscire utile, un invito a ripensare tutto. I consigli della Atwood sono pratici e condivisibili. Una passeggiata resta il modo più efficace di favorire la riflessione. E il cioccolato fondente il miglior fornitore di energia pulita». Antonio Scurati, scrittore e polemista di razza, suggerisce qualcosa d'alternativo. «Potrà suonare scontato, o forse desueto, ma secondo me il blocco della scrittura si smuove con la sua gemella: la lettura. Se non si riesce a scrivere, niente di meglio che leggere. Libri preferibilmente alti e lontani, di chi con la scrittura ha tentato grandi imprese, in epoche remote e in terre a noi straniere. E tanti libri. Poi, magari, tornano anche buoni. Magari uno scopre che lo scrittore, come l'artista contemporaneo, spesso non fa il quadro ma le cornici».
Giulio Mozzi (ottimo il suo Sono l'ultimo a scendere) la vede in modo ancora diverso: «Mai sofferto di "blocco". Ho pubblicato un libro nel 2001, una raccolta di cose vecchie nel 2005, e poi tre libri in un colpo a fine 2009. Non ho mai pensato di esser condannato, poiché avevo fatto un libro a farne degli altri. Quando viene, viene. Tutto qui. Peraltro, negli anni nei quali, secondo alcuni, sarei stato senza scrivere, ho scritto moltissimo. Ho scritto il mio diario in rete, che poi è diventato un libro, articoli per giornali, centinaia di pezzi per il mio blog, "vibrisse". Conosco scrittori che se stanno due anni senza fare un libro, gli viene l'ansia. Temono di scomparire. A me quest'ansia non viene: ci sono tante altre cose, nella vita». Chissà, magari, anche il giardinaggio, per distrarsi dalla momentanea pausa, come suggerisce il prolifico Andrea Vitali (in uscita da Garzanti, La mamma del sole) con la sua consueta ironia: «Sto proprio vivendo uno di quei momenti di blocco. Una storia che si è infilata in un vicolo cieco e quindi, in quanto tale, non riesco a vedere come se ne possa venir fuori. Allora, dopo aver più volte picchiato la testa contro il muro del suddetto vicolo, ho messo nel cassetto la storia e mi sono dato al lavoro fisico: essendo, per parte di padre, di origini campagnole posseggo per fortuna un poco di terra e ho cominciato a prepararla per le semine future: siamo in febbraio, tempo di seminare cipolle. Le due cose mi danno pace, ho messo il romanzo nel cassetto e le cipolle sotto terra: vediamo chi germinerà prima».
Male che vada si consolerà con una succulenta zuppa di cipolle. Ma siamo sicuri che non saranno i suoi (tanti) lettori a restare a bocca asciutta.
P.S. Tutti gli scrittori interpellati hanno risposto con velocità e generosità. Il mio amico Flavio Soriga (ottimo scrittore), contattato via mail, mi aveva promesso, con entusiasmo, un suo parere. Non è arrivato nulla. Che sia un classico caso di blocco dello scrittore?" (da Stefano Salis, Scrittori con le penne in panne, "Il Sole 24 Ore", 06/02/'10)

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