lunedì 1 febbraio 2010

Ellroy: "Il buio mi ha ridato la forza di scrivere"


"La ricetta di James Ellroy in fondo è semplice: 'Mi piace il mio lavoro, amo battermi, odio perdere, non mollo mai. Se esco ammaccato, fa niente. Scrivere è come fare la lotta, mi piacciono le cicatrici'. Ha sessantuno anni e - dice - mi sento giovanissimo, scriverò ancora un sacco di libri. Con gli alimenti che devo pagare dopo il divorzio, o scrivo o sono c.... amari". Mostra una minima pancetta, la stretta di mano è possente, gli occhi opachi come pietre proteggono qualche fragilità, di cui è meglio non parlare. Ma forse ieri il "mostro sacro" era in vena di qualche confidenza in più del solito. Il sangue è randagio ha una storia interessante: Avevo finito Sei pezzi da mille e mi sono accorto di essere stato fin troppo rigoroso'.
'Mia moglie Helen, romanziera, mi ha detto: "James, devi tornare a scrivere libri che senti dentro il cuore". Ma poi lei mi ha mollato, ho incontrato Karen e anche lei mi ha mollato', dice Ellroy. E mentre queste donne, che pure sono state importanti, sembrano già lontane, una febbre diversa dall'amore rode James: 'Mi sono trovato a fare come all'inizio, mi sono chiuso in camere buie (My Dark Places), per pensare, pensare come quando iniziai a scrivere e il mio isolamento dal mondo mi ha dato la forza mentale ed emotiva per riuscire a vivere intensamente e per scrivere. Una specie di autoconservazione. Così è nato Il sangue è randagio'.
Ma sì, che importa della vita comune a Ellroy? È uno che nasce nelle strade di Los Angeles, la mamma viene uccisa che lui ha dieci anni, il padre non ha nulla di positivo se non il fatto che gli regala un libro poliziesco. Da giovane sballato, James fa "un giro di giostra" nelle galere, dopo aver abbandonato il liceo. E poi? 'Poi non ho mai sciato a Cortina d'Ampezzo, mi sono comprato tre Porsche, ma le ho vendute perché sono troppo alto e poi senti ogni sassolino. Dopo quattrocento chilometri scendi e ti sembra di essere stato picchiato da Tyson. So che quel bastardo di Obama sta per alzarmi le tasse, ne sono sicuro. E quando morirò, il più tardi possibile, avrò ventiduemila dollari in banca, giusto per pagarmi il funerale. È meglio usarli tutti, i verdoni. Non ho nemmeno una casa di proprietà'.
E, guarda un po', un appartamento non ce l'ha nemmeno un personaggio centrale di questo suo ultimo libro, Don Crutchfield, detto Crutch. Uno che ruba la biancheria alle ragazze, ha una madre scomparsa e un padre alcolista. Mister Ellroy, perché è voluto entrare nel libro? 'In verità non sono io, si tratta di un mio amico, perché Don esiste, ha circa dieci anni più di me e faceva il detective. Seguiva le coppiette nei motel e scattava le foto. Ho affittato la sua personalità, gli ho dato alcune delle mie caratteristiche da topo di appartamento e Don s'è preso qualche bigliettone, per essere messo nel mio libro'.
La sua scrittura s'è fatta ancora più affilata, nei suoi capitoli si leggono frasi come colpi di rasoio. "È il linguaggio parlato che mi ispira, I love l'idioma americano, l'invettiva razzista, I loooove gli sfottò di strada, l'yiddish, l'esagerazione dello slang, mi piace scrivere le "c" con le "k"". Per alludere al Ku Klux Klan? 'E sì, perché è divertente, e in queste pagine c'è anche un po' di Haiti, perché c'è il voodoo ed è cool shit, roba forte. Ma non perdo le mie caratteristiche, ho fatto fare ricerche sulla convention del Partito democratico del '68 a Chicago, quando c'erano anche gli hippies, e ho usato anche il loro lessico. La mia ricercatrice mi ha portato uno scartafaccio grosso così'.
Ma lavorare dentro una cornice storica non diventa una prigione? 'Anzi, diventa "fictionalized", sono libero di giocare e raccontare tutte le storie come le voglio io, dentro un contesto solido. E se sono credibili i piccoli personaggi, se il lettore crede nelle storie degli anonimi, crederà al mio mix di vero e falso'.
Da quando lei ha scritto American Tabloid, in tutto il mondo ci sono stati giallisti che hanno pensato: ora scrivo Italian tabloid, France tabloid, Greek tabloid. Nessuno c'è mai riuscito. Come mai? 'Ogni paese ha le sue caratteristiche speciali. Come nessuno al mondo riesce a eguagliare gli italiani nel design e nei ristoranti, e così come il cuoio inglese non ce n'è, la crime-fiction è americana. E d'altra parte chi si prende l'impegno di organizzare quattrocento pagine di traccia per un libro di ottocento pagine? Solo un americano ostinato'.
Lei si preoccupa del lettore quando scrive? Vuole dargli uno schiaffo o una pacca sulla spalla? 'Penso sempre al lettore e questa volta l'ho confortato emotivamente con una storia d'amore importante per la descrizione dei fatti, che sono complessi. Compaiono in scena comunisti, fascisti, un poliziotto gay di colore che sembra un bravo ragazzo ma diventa assassino. Peraltro ho vissuto gli anni di cui parlo, ma ero troppo fuori per ricordameli ...'.
Questo libro chiude davvero la sua trilogia? 'Sì, per l'anno prossimo finirò un libro autobiografico, La maledizione degli Hilliker, che era il cognome di mia madre'.
E dopo? 'Dopo? Va bene, glielo dico. Ho in testa un nuovo "quartet", ma non mi scucirà una frase di più'.
Almeno il periodo, è lo stesso de Il sangue è randagio? Fine Sessanta inizio Settanta? 'No, prima'.
Saranno anche quelli cupi, spregiudicati, violentissimi. Ma a volte in qualche angolo dei suoi libri sembra che lei metta la voce di Dio, è corretto o sbagliato?
'Pochi lettori se ne accorgono, Dio c'è sempre, ma a latere, non si vede. In questo libro c'è più che in altri. Crutch è luterano, come me. E, quando è costretto a uccidere, ha delle visioni, Cristo gli appare. Un'esperienza trascendentale chiarissima. Io credo che tutti i miei libri, che non sono polizieschi, ma romanzi storici, parlino di redenzione e salvezza'.
E con la musica che rapporto ha? La sente mentre scrive? 'No, e me ne frego anche delle colonne sonore dei film tratti dai miei libri. Non sopporto il rock, la musica commerciale. Amo Beethoven, un rivoluzionario della musica, e i suoi quartetti, scritti da sordo, sembrano una cosa di ieri, modernissima'.
È vero che lei non legge più o è un vezzo? Nemmeno Jim Thompson legge? 'È vero, ho smesso, ma in passato ho letto. Ammiravo Dashiell Hammett e se Don De Lillo non avesse scritto Libra su Kennedy, io non avrei scritto questa trilogia. Ma davvero non sopporto più i libruncoli sugli psicopatici, che santificano criminali o disgraziati o serial killer, sono cose di merda'.
E Salinger? O Capote ... 'Non fanno parte della mia formazione, trovo Il Giovane Holden un libretto per quattordicenni. E A sangue freddo non sta in piedi, è gonfio di bugie, errori e inesattezze degne dello stupidissimo film che hanno fatto'.
Molti suoi personaggi si rincorrono da libro a libro. Ce n'è uno che preferisce? E per quale ragione? 'Joan Rosen Klein: perché rispecchia la donna che amavo in quel periodo'.
L'avrà mollato pure questa, scommetto ... 'E che devo fare? Comunque mi piace per quello che è, come l'agente Dwigth Holly, uno essenziale, un classico burnout, un reduce ossessionato dal senso di colpa'.
Nessuno di questi personaggi sembra avere amici veri. Lei ne ha? 'Non ho una vita normale, sono solitario per natura, e sono ambizioso, assolutamente ambizioso. Anche i miei amici, e non ne ho avuti tanti, lo dicono. E poi mi piace fare cose diverse, anche andare in giro per il libro mi mette allegria, finché la cosa non diventa lunga. Per esempio, adesso mi tocca la Finlandia e mi girano le palle a pensare che il libro sarà venduto massimo a trecento renne'.
Lei, due divorzi alle spalle, è tornato a vivere a Los Angeles. L'ha trovata cambiata, e come? 'Sono stato a Kansas City, Carmel e Los Angeles, dov'è sempre difficile andare in giro, c'è troppa gente, ma io sono nato là, vivo non lontano da dove bazzicavo da ragazzo, posso andare a piedi nelle case dove da ragazzino entravo di soppiatto per rubare, conosco il posto, insomma. C'è la donna con cui sto adesso e anche chi si prende cura di me, anche se là non esiste il sentimento del vicinato, non c'è quartiere'.
Ma è vero che la crisi sta colpendo duro anche a Los Angeles? 'Quale crisi, non seguo queste stronzate, le persone adesso si spaventano per niente, questa non è la Grande Depressione, la gente che dorme per strada è sempre la solita'.
Lei non ha preso mai il diploma? 'No'.
E le manca? 'Mi prendi in giro? La mia maturirà è self made man, che mi frega del pezzo di carta? E poi in quel periodo quando ho mollato la scuola ero una testa calda, volevo leggere, farmi i c .... miei e passavo un sacco di tempo a spararmi nel cesso delle gran ...'.
Lasciamo perdere. Ha visto Kim Basinger nel film L. A. confidential? Non sarebbe scappato anche lei con una donna così? 'No, non ci scapperei mai con Kim Basinger, è questione di come ti piacciono'.
Lei non ama schierarsi politicamente, giusto? 'I giornalisti europei vogliono sempre caratterizzare uno di destra o di sinistra, io invece sto fuori'.
Ma di Obama che pensa? Ha meno di cinquant'anni e questo è un bene. Farà cose giuste?
'La gente è disillusa, adesso comincia a dire che è solo un Jimmy Carter abbronzato'.
Lei vede in Bob Kennedy un uomo che ha lottato seriamente contro la mafia e in Luther King una pietra preziosa spuntata nel genere umano. Sembrano gli unici degni della sua ammirazione ... 'Sono fantasmi', dice Ellroy, ed è l'unica volta che sembra faticare a trovare le parole. 'Anzi, sono i martiri. Nei tre libri della trilogia sono i buoni che vengono uccisi dai cattivi, e chi ha contribuito alla loro morte pagherà, e pagherà molto, moltissimo per ciò che ha fatto', conclude quasi con emozione. E non si capisce se "quei bastardi" pagheranno in questa vita, in un Aldilà o in uno dei libri di questo scrittore con la fama da duro e, forse, il cuore da tenero." (da Piero Colaprico, Ellroy: 'Il buio mi ha ridato la forza di scrivere', "La Repubblica", 31/01/'10)

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