sabato 6 febbraio 2010

Diario di lettura: Benedetta Craveri


"Un viso dolce e aggraziato, qualche ricciolo sfuggente, una scollatura profonda e un gigantesco quaderno di cui è pronta a vergare le pagine. Accompagnato da questo ritratto di François Gérard, arriva il bellissimo romanzo breve Ourika (trad. di Gabriella Cillario, Adelphi) della duchessa Claire de Duras. Bestseller degli anni venti del secolo XIX, la delicata e avvincente storia scritta dalla Duras, il cui padre ammiraglio fu ghigliottinato dai giacobini, si cimenta con una vicenda insolita: quella di una seducente nera, o «negra», come la chiama la sua autrice, «importata» dall’Africa, adottata da illuminati aristocratici che la educano senza tener conto della sua «diversità», fino al momento in cui lei stessa si rende conto dell'impossibilità di essere uguale.
A riscoprire questo primo, intenso racconto sulle difficoltà di una società multietnica e a tracciare nella postfazione il singolare profilo della madame-narratrice, afflitta da grandi pene d'amore per François-René de Chateaubriand, è Benedetta Craveri, studiosa, giornalista, accademica. L'indagatrice del connubio tra salotti e genio femminile in Madame du Deffand e il suo mondo, La civiltà della conversazione, Amanti e regine. Il potere delle donne (tutti Adelphi) rimette ora, dunque, insieme i tasselli della vita della Duras che gestì il più importante cenacolo intellettuale nella Parigi della Restaurazione.
Un salotto, un destino, si potrebbe dire anche nel caso della saggista, nipote di don Benedetto Croce. Il suo album di famiglia è infatti straricco di quarti di nobiltà, letteraria s'intende, e di colti milieu. La madre, Elena, è stata un'elegante scrittrice e un'ambientalista ante litteram, fondatrice di Italia Nostra. La nonna paterna era nipote del drammaturgo Giuseppe Giacosa, imparentata con i Carandini e con Luigi Albertini, proprietario e direttore del Corriere della Sera, poi costretto da Mussolini a vendere il giornale; il padre, Raimondo Craveri, incarnava un singolare mix di studioso (di Voltaire) e di cultore del mondo dell’economia, dell’impresa, di Torino. Quando poi la Craveri si sposa, giovanissima, con Masolino d'Amico, entra a far parte del variegato milieu dei Cecchi-D'Amico, le cui ramificazioni familiari includono i Pirandello mentre la loro casa era il luogo di aggregazione di musicisti, scrittori, attori e registi, da Nino Rota a Flaiano, da Visconti a Monicelli a Rossellini, da Anna Magnani a Gassman a Mastroianni.
Nella sua vita, tra Roma, Napoli, Castiglioncello e il Piemonte, non mancano -
ma è un eufemismo - le biblioteche e gli amici intellettuali.
Da quale scaffale, diciamo così, cominciamo? Da quello da cui discende l'interesse per quella linea rosa che collega tutti i suoi libri? «Non sono mai stata né una praticante dei women's studies e nemmeno una militante femminista. Per dirlo con una battuta, sono stati i miei personaggi che, pirandellianamente, mi si sono imposti. Da francesista, studiando l'epoca di Luigi XIV e XV, ho dovuto prendere atto della centralità delle donne. Hanno dettato legge in materia di buone maniere e di gusto e contribuito a modernizzare la letteratura. Non hanno gestito solo salotti dove si discuteva di arte, di psicologia, di morale, di filosofia, di politica ma, come mostrano Madame de La Fayette e Madame de Sévigné, sono state anche scrittrici in proprio».
Tutto dunque ha origine dalla passione per la Francia? «Che si è sviluppata nella biblioteca della casa di campagna dei miei nonni paterni, a Colleretto Giacosa. A cominciare da Dumas, c'erano tutti i romanzi francesi dell’Ottocento e anche quelli russi. Poi, come avrei scoperto più tardi, tutti i possibili classici, moltissimi epistolari. Io sono nata e cresciuta a Roma ma le mie estati, lunghissime, in cui si andava in bicicletta, si pescavano i gamberi, si leggeva molto, le ho trascorse in Piemonte. Qui, anche il nonno Croce e sua moglie, Adele Rossi, lei pure piemontese, passavano le loro villeggiature a Pollone».
Dato il contesto, attività impegnativa affidarsi a un libro? «A casa, leggere era assolutamente naturale. Mia madre si limitava a sorvegliare me e mio fratello Piero da lontano e a dare qualche suggerimento ma mai in tono pedagogico. C'era, tuttavia, un interdetto di fondo: il cattivo gusto. Per me la linea di demarcazione rimaneva abbastanza oscura. Non capivo, ad esempio, perché il povero Salgari venisse messo all'indice come sgrammaticato mentre io lo leggevo con venerazione. Ma sul fronte del cattivo gusto, quando andavo a Napoli, le mie zie Croce si rivelavano molto più sovversive: mi consentivano di leggere sotto banco i romanzi della Delly che mia madre avrebbe giudicato il non plus ultra della mezzacalzettaggine. Ritornando al versante piemontese, tra le mie letture legate ai rapporti familiari c'era Fogazzaro che era stato amico del mio bisnonno Pietro Giacosa, ma anche Camillo Boito ed Edoardo Calandra, autore de La bufera. Mi piaceva - e mi piace ancora moltissimo - Gozzano, intimo del nonno Enrico Craveri, ed ero una carducciana fanatica. Per anni, quando le mie figlie erano piccole, i nostri viaggi sono stati scanditi da odi barbare, rime e ritmi: in autostrada il cartello annunciava “Piemonte” e io, tra sbuffi e risate, mi impegnavo: “Salve, Piemonte! / A te con melodia mesta, da lungi risonante ...”; approdando a Verona: “Teodorico di Verona, dove vai tanto di fretta? tornerem, sacra corona”; quando si andava a Castiglioncello, a casa dei miei suoceri, Suso Cecchi e Lele d'Amico, era d'obbligo: “I cipressi che a Bólgheri alti e schietti ...”».
A scuola avrà avuto molto poco da imparare. «Al contrario. Andavo al liceo Tasso di Roma ed ero tutt’altro che brillante. Ma, quando i miei genitori si separarono, e io per tre anni finii in collegio a Trinità dei Monti, divenni molto brava. Sarà stato, forse, per mancanza di alternative. Non potevo far altro che studiare».
E i libri del filosofo di Pescasseroli? «Al liceo mi innamorai dell’Adelchi
e lessi il saggio del nonno. Scoprii attraverso la sua critica le ragioni della suggestione esercitata su di me dalla tragedia di Manzoni. Il “senatore”,come veniva chiamato anche in famiglia, è morto quando io ero ancora una ragazzina. Era molto affettuoso ma anche intimidente. La sua giornata si svolgeva secondo un preciso rituale. La mattina era chiuso nel suo studio e ne usciva all'ora di pranzo, per poi scomparire nuovamente. Però, quando ero a Napoli, c'era un rito di cui ero l'esclusiva beneficiaria: mi consegnava una chiave con cui aprivo una porta e poi un cassetto e poi una scatola con dei cioccolatini. La prima volta che sono apparsa su un giornale insieme a lui avevo otto anni. Dalla casa di Pollone escono alcuni giornalisti che si fermano in giardino. Ero intraprendente e il nonno, che forse non si sentiva sicuro di quello che avrei potuto dire, scende al primo piano e ... scivola sul tappetino. I giornali titolano: Benedetto Croce cade per colpa della nipotina».
Le letture non le mancano nemmeno quando inizia a lavorare alla trasmissione radiofonica «Spazio 3». «Prima di incominciare a scrivere a mia volta - la biografia di Madame du Deffand su incoraggiamento di Roberto Calasso - ho esitato a lungo. Avevo paura di deludere le aspettative della mia famiglia che dava per scontato che avrei finito per occuparmi di letteratura. Così scelgo di stare dall’altra parte della barricata. Divento organizzatrice di un programma di informazione culturale: saranno coinvolti nella trasmissione giovani studiosi e giornalisti, da Corrado Bologna a Emilio Gentile e Anna Foa, da Antonio Gnoli a Pierluigi Battista a Gianni Riotta. Indimenticabili gli interventi di Giorgio Manganelli che parlava dei libri più diversi, all'impronta, dispiegando uno straordinario virtuosismo linguistico».
Ultimi scrittori che l'hanno affascinata? «Zbigniew Herbert, Czeslaw Milosz,
Wislawa Szymborska che ho avuto il privilegio di conoscere di persona in Polonia negli anni in cui il mio secondo marito, Benoît d'Aboville, era ambasciatore a Varsavia. Mi hanno restituito un'idea di letteratura come religione, strumento insostituibile di conoscenza. Anche questa esperienza rientra nelle consuetudini familiari: mia madre ha imparato a 50 anni il polacco per tradurre i Sonetti di Crimea di Adam Mickiewicz e il marito di sua sorella Lidia, Gustav Herling, autore di Un mondo a parte, è stato fra i maggiori scrittori polacchi del ‘900»." (da Mirella Serri, Tra amanti e regine con nonno Croce, "TuttoLibri", "La Stampa", 30/01/'10)

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