venerdì 12 giugno 2009

Va' dove ti porta il titolo


"Tranne rare eccezioni, un titolo è per sempre. Ma quando approda in libreria, ha spesso poche settimane a disposizione per incuriosire il lettore indeciso e sopraffatto dal sempre più frequente turnover di novità. Così a un anno dalla vittoria del premio Strega, La solitudine dei numeri primi resta uno dei più riusciti, celebrati e citati. Anche se, come spesso ha raccontato l'autore, Paolo Giordano (un milione e 300 mila copie vendute in Italia), doveva chiamarsi Dentro e fuori dall'acqua. Fu l'editor Antonio Franchini a cambiarlo. E a inventare un marchio, per un ottimo esordio. Ma quale regola esiste? 'Un titolo buono si trova dentro il libro, come nel caso di Giordano', sostiene Antonio Riccardi, direttore editoriale di Mondadori. 'L'importante è che sia sincero e che rispetti il contenuto dell'opera'. Su questo, tutti gli addetti ai lavori sono d'accordo: non occorre cercare lontano, il titolo è quasi sempre nascosto tra le pagine. E in genere è compito dell'editor di riferimento scovarlo, ovviamente d'accordo con l'autore. Ma spesso il travaglio è lungo, tanto che tra le prime bozze di presentazione dell'opera e la definizione finale le cose possono cmabiare. Paolo Repetti, responsabile con Severino Cesari di Einaudi Stile Libero, ricorda infiinite discussioni in casa editrice: 'Il titolo giusto è quello che senti immediatamente come forte, solo allora il libro è pronto per la pubblicazione'. Basti pensare che un bestseller come Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo si intitolava Storiaccia, 'ma non suonava, così abbiamo continuato a cercare'. O che Gioventù cannibale, l'antologia horror degli anni '90 trasformatasi in etichetta letteraria, avrebbe dovuto chiamarsi Spaghetti splatter. Ma non sempre i titoli dei libri appartengono alla cosiddetta cucina editoriale, spesso e volentieri sono gli scrittori a essere eccellenti copywriter di se stessi. Come Susanna Tamaro che ha inventato il famosissimo Va' dove ti porta il cuore aprendo così la stagione del titolo emotivo, che si rivolge direttamente al lettore dandogli del tu. O come Niccolò Ammaniti e il suo Io non ho paura (passato prima per il poco incisivo Buon viaggio, piccolo re), che ancora prima di Giorgio Faletti, creatore di Io uccido e Io sono Dio, ha dato il via al titolo forte e perentorio, che punta sulla soggettività. [...]" (da Benedetta Marietti, Va' dove ti porta il titolo, "La Repubblica", 12/06/'09))

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