martedì 30 giugno 2009

Si possono fermare le idee nell'epoca di Twitter?


"Censura? Nell'epoca di Internet, di Facebook, You Tube, Twitter e Flickr, si può ancora parlare di regimi che impongono la censura all'informazione? No, non si può. Troppe cose sono cambiate negli ultimi vent'anni, sino a far crollare le barriere che circondavano i paesi dove veniva praticata la censura. Oggi si possono infatti espellere giornalisti stranieri, si può terremotare il Web, togliere campo ai cellulari e agli sms: ma tutto questo non impedirà lo scorrere di un impetuoso fiume di informazioni che il regime censorio avrebbe voluto bloccare. Sia pure limitata notizie contenute in messaggi di soli 140 caratteri, sia pure attraverso poche frasi strozzate dei testimoni, la verità su quanto sta accadendo in un Paese sottoposto a censura inonda adesso i continenti, l'Universo. La giunta militare birmana è forse riuscita ad arginare le immagini dei bonzi bastonati a morte dalla sua soldataglia? Il torvo silenzio dei media russi ha impedito che tutto il mondo sapesse delle circostanze oscure, garvide di sospetti sul coinvolgimento del potere, in cui s'ammazzano i giornalsiti a mosca? I corrispondenti dei giornali inglesi sbattuti in carcere, i computer sequestrati all'opposizione, hanno forse consentito a Mugabe di nascondere in questi anni l'agonia dello Zimbabwe? E Teheran è sotto i nostri occhi. L'Iran non è la Birmania o lo Zimbabwe, dispone di esperti informatici non meno capaci di quelli occidentali, e infatti il regime è riuscito negli ultimi giorni a chiudere qualche falla, a restringere il flusso delle informazioni in uscita sul Web. ma intanto, quel che dovevamo sapere, vedere, comprendere, lo abbiamo saputo, visto, capito. E il volto insanguinato di Neda Agha-Soltan, la ragazza uccisa dalla polizia degli ayatollah, è ormai simbolo della nuova epoca. L'epoca del tramopnto delle censure. È vero, i regimi autoritari impiegheranno mezzi sempre più sofisticati, altre strategie informatiche, per far calare una nuova cappa di silenzio sui propri misfatti. Ma nelle case, curvi sui Pc, migliaia di giovani geniali adotteranno contromosse, tecniche mai usate, invenzioni mirabolanti per aprire ancora una volta un varco nel muro della censura. E dunque, salvo che non s´arrivi al sequestro di tutti, non uno escluso, i computers e i cellulari del paese dove si vorrebbe mantenere la censura, una massa d´informazioni continuerà a spandersi ovunque nel mondo. In Cina, da settimane, i bloggers lanciano infatti sul Web la loro sfida contro le autorità: «Tutti i vostri tentativi di manipolare gli accessi a Internet, finiranno nella pattumiera della storia».
Non era così una generazione addietro, quando ancora esistevano i censori. Nei tanti paesi allora sottoposti a censura i censori erano una frangia della piccola borghesia, modestamente ma non miseramente pagati, e con un certo sentimento del proprio ruolo nell´apparato del potere. Era gente che aveva fatto studi superiori, appreso le lingue straniere, e che riceveva disposizioni da molto in alto (i servizi di sicurezza, e a volte gli stessi governi) sulle informazioni che potevano uscire dal paese e quelle che invece andavano imbrigliate. Certo: più scassato era il regime e più inadeguati, incompetenti, erano i censori. Nel Medio Oriente arabo, i più preparati (e per il giornalista straniero, quindi, più temibili) erano i siriani. Volti impenetrabili, modi urbani ma gelidi, buona conoscenza delle lingue. Scostanti ma capaci erano anche gli iracheni. E i più sprovveduti, a volte patetici per l‘inadeguatezza, erano gli egiziani, che le lingue le conoscevano in modo approssimativo e ai quali erano giunte disposizioni in stile egiziano, cioè confuse, contraddittorie. Essi cercavano perciò di rimediare alle loro lacune e incertezze adottando maniere burbere, toni perentori, col giornalista straniero che porgeva trepido il suo articolo dattiloscritto, aspettando il timbro che gli avrebbe permesso di recarlo all´ufficio postale e trasmetterlo per telegramma o telescrivente.
«Lei qui cancellate», diceva uno di loro nella palazzina della televisione dove c´era l´ufficio di censura. «Scusi», chiedeva rispettoso il giornalista, «perché dovrei cancellare?». «Perché voi dice che posizione del presidente Nasser è ambivalenta, e questa è offesa al presidente Nasser». O un´altra volta: «Che vuol dire sonnecchiare?». «Vuol dire», rispondeva il giornalista, «stare quasi dormendo». «E lei dite che poliziotti egiziani dormono dinanzi palazzo governo? No, io non metto timbro per trasmettere ...».
Rozza, quasi infantile, quella censura era tuttavia difficilmente valicabile. Non funzionava sempre, infatti, come nel Congo di Mobutu alla fine dei Sessanta o nella Nigeria della guerra col Biafra, l´uso della mancia. Lì, nel palazzo delle Poste di Kinshasa o al Press Office di Lagos, non c´erano inciampi se si consegnava – spillata all´ultimo foglio dell´articolo – una banconota di medio taglio. Il censore faceva anzi strada verso la telescrivente, s´inchinava cordiale («Bonsoir monsieur, à demain», o a Lagos «Bye bye, sir») e il telescriventista capiva così che anche lui poteva aspirare a una mancia. I più compresi della funzione erano i vietnamiti ad Hanoi e Saigon nell´´85,quando i giornalisti stranieri tornarono per la prima volta dopo dieci anni dalla vittoria comunista. Conoscevano il francese, non l´italiano, ma erano così occhiuti e scrupolosi nello spulciare il testo che coglievano quasi sempre le discrepanze tra le due lingue. E se una discrepanza c´era, subito intingevano la penna nel calamaio per cancellare l´intero capoverso. Mentre i più comici risultarono forse i greci nel ´67, dopo il colpo di Stato dei colonnelli. Quella volta la censura veniva praticata direttamente durante le telefonate dei giornalisti dagli alberghi di Atene ai loro giornali. Succedeva così che dopo la più banale e inoffensiva delle frasi si sentisse di colpo una voce sdegnata («Lei offende il popolo greco»),cui seguiva la caduta della comunicazione. E per riaverla bisognava quindi penare con i centralini dell´albergo, sinché non si risentiva la voce del censore: «Adesso non dica più bugie». Un mestiere finito come tanti mestieri d´un tempo. La zattera cui s´afferravano fette di borghesia intellettuale per spuntare uno stipendio, affondata per sempre. I giornali non vengono più stampati con l´inchiostro, i censori hanno adesso i camici bianchi dei tecnici dell´informatica, e la censura è quasi soltanto un ricordo." (da Sandro Viola, Censura: si possono fermare le idee nell'epoca di Twitter?, "La Repubblica", 30/06/'09)

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