mercoledì 16 luglio 2008

Michele Serra: "Cultura, il Belpaese si butta via"


"Nonostante la retorica, di lunga data, sull'Italia primo Paese al mondo per le risorse artistiche e i 'giacimenti culturali', le statistiche ci consegnano un ritratto abbastanza spietato dello stato della cultura nazionale. Con l'eccezione del solito (e benemerito) design, prestigiosa foglia di fico, navighiamo nelle retrovie europee per quantità e qualità delle spese culturali e, di conseguenza, dei consumi culturali. Siamo solo diciassettesimi per investimenti nella ricerca e sviluppo - e questo è un dato squisitamente politico. Ma soprattutto nonostante si detenga il primo patrimonio artistico e culturale del pianeta, lo valorizziamo così poco, e così male, che i nostri musei e gallerie d'arte non sono tra i più visitati del mondo (primo il Louvre, secondo il Centre Pompidou: poi si dice che uno è francofilo ...). Bisogna scendere al settimo posto per trovare i Musei Vaticani - grazie alla Cappella Sistina - gli Uffizi sono al ventunesimo, la mostra italiana di maggiore successo è solo ottantaseiesima. La spesa culturale media di una famiglia italiana, a parità di reddito, è la metà di quella di una famiglia inglese: sei per cento contro dodici. Un altro dato, apparentemente 'minore', apre un possibile spiraglio per interpretare questo declino. Il mecenatismo privato in Italia è spropositatamente sbilanciato in favore dle calcio, che attira la gran parte degli sforzi auto-promozionali dei nostri ricconi. Legare il rpoprio nome o il proprio marchio al pallone è considerato, da noi, il modo più efficace per acquisire popolarità (e anche rendita politica). All'estero, le sponsorizzazioni artistiche assorbono enormi quantità di denaro privato, e sono considerati una eccellente forma di pubblicità. Difficile dire se sia la domanda oppure l'offerta a determinare questa differenza. Se cioè sia una classe dirigente già di suo incolta a diffidare degli investimenti culturali, oppure se sia una popolazione di bassa istruzione media (tra le più basse d'Europa, nonostante il diffuso benessere) a favorire questa vistosa dequalificazione. Certo è che la cultura in genere continua a essere considerata una sorta di 'lusso', di spesa voluttuaria che non fa parte del 'paniere' delle strette necessità; e non una risorsa. Risorsa economica, come dovrebbe essere ovvio in un Paese che viene visitato soprattutto per la qualità unica dei suoi paesaggi antropizzati, dei suoi sky-line pittorici, dei suoi borghi, chiese, castelli, centri storici, musei. Ma anche risorsa sociale, poiché non esiste voce che non concordi nel considerare la cultura media di una società come una della garanzie della sua crescita complessiva: economica, sociale, civile. Da parecchi anni in questo Paese si tagliano per prime le spese per la cultura e la ricerca come se fossero foglie da cimare, e non già le radici dalle quali ogni crescita riprende abbrivio. Nei bilanci pubblici si valutano 'in rosso' quegli investimenti culturali i cui frutti sono spesso impalpabili a breve, ma vigorosi a lungo termine: che prezzo abbiano la conoscenza, il gusto per la bellezza, il senso critico nessuno può stimarlo in denaro. Le piccole folle migranti che affollano i festival estivi, il piccolo ma significativo passo in avanti del cinema e del teatro, il successo quasi mai atteso di libri o film non di grana grossa ma di forte caratura culturale, dimostrano che esiste nel Paese una forte e qualificata domanda di cultura. Domanda 'politica' per eccellenza, perché si contrappone all'idea (televisiva: dirlo è banale ma è anche inevitabile) che la cultura sia 'difficile', elitaria, per pochi privilegiati. Quando invece è pane e richiederebbe per la sua confezione, la sua cura, il suo commercio, un sistema vivo e capillare. Per evitare il vecchio paradosso 'l'Italia è un Paese povero abitato da ricchi', se ne affianchi un altro: l'Italia è un Paese colto abitato da ignoranti." (da Michele Serra, Cultura, il Belpaese si butta via, "La Repubblica", 16/07/'08)

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