domenica 6 luglio 2008

Cesare Pavese. I libri

Cesare Pavese. I libri (Aragno)

"I libri come autobiografia di chi li colleziona. Si può dirlo di ogni intellettuale. Ma nel caso di Cesare Pavese, quel legame fra un uomo e i propri libri diventa storia, aneddotica, racconto. Si viene trasportati all'interno di un ambiente, la Giulio Einaudi editore, di cui il romanziere fu gran parte fra gli anni Trenta e Cinquanta. Circolano dentro quegli scaffali eroi 'di carta' e compagni di avventure intellettuali. Vi si scorgono passioni sedimentate. Vi si intravedono continenti sognati o trasfigurati dall'arte della parola. Partiamo da quest'ultima realtà: la geografia ideale di Pavese. Essa culmina nella sua passione per l'America, quasi temeraria negli anni del tardo fascismo. A provarla, questa passione, l'autore di Paesi tuoi e dei Dialoghi con Leucò non è né resterà solo. Ne sarà addirittura divorato il coetaneo Elio Vittorini, del quale figura in biblioteca il romanzo Coversazione in Sicilia (ancora in edizione Parenti, 1941, con il titolo Nome e lacrime). Italo Calvino, amico di entrambi ma di quindici anni più giovane arriverà a confessare: 'C'è stato un tempo in cui per me e per molti altri Hemingway era un dio'. Da Melville, di cui è appassionato traduttore, a Caldwell, da Sinclair Lewis a John Steinbeck, da Sherwood Anderson (anch'esso da lui tradotto nel '32 per l'editore Frassinelli) all'Antologia di Spoon River, di cui conserva una copia del '43 nella versione dell''americanista' Fernanda Pivano, gli scaffali di Pavese si riempiono di questa letetratura, nella quale, egli annota, i richiami 'della terra e del sangue assumono forme ingenue, violente, talora selvagge'. 'Noi scoprimmo l'Italia', concluderà più tardi, 'cercando gli uomini e le parole in America'. Il confronto con un mondo libero e immaginoso di concepire l'esistenza assumeva in quegli anni, il valore di una rivolta antiprovinciale. Il jazz, voga musicale ostica alle orecchie dei fascisti, diventò il vessillo di un cosmopolitismo indocile; e la mitologia yankee si estese alla letteratura disegnata per l'infanzia. Un suggestivo messaggio proveniente da oltreoceano emanavano i cartoons di Walt Disney, con in cima quel Mickey Mouse, nelle cui vicende di giornalista brillante, fortunato detective o astuto scavezacollo si riflette nella maniera più naturale il costume americano. Finché il Regime, con l'incalzare della Seconda guerra mondiale, non ne vieterà la diffusione, le avventure di Topolino trovarono vari editori, da Nerbini a Mondadori e al torinese Frassinelli, sotto la cui sigla sono presenti nella biblioteca di Pavese. La realtà ufficiale dell'Italia, insomma, vissuta nettamente a rovescio, proprio in quegli anni Trenta e metà Quaranta che nella vita dello scrittore piemontese (1908 - 1950) occupano una stagione privilegiata. Intorno a lui ferveva l'attività della Einaudi, un'istituzione ancora giovane - data di anscita 1933 - ma ben presto sospetta di sovversivismo. Di fatto, tra la sua fondazione e la caduta del regime littorio, la casa torinese aveva percorso il proprio viaggio attraverso il fascismo nelle varie tappe comuni a un'intera generazione di intellettuali. E ne aveva riportato traumi esemplari: a cominciare dalla soppressione nel '34 della "Riforma sociale", la rivista diretta da Luigi Einaudi e poi passata alle cure editoriali del figlio Giulio, per finire con le noie giudiziarie subite dal periodico "La cultura", ideata da Leone Ginzburg e diretta infine dallo stesso Pavese. Il catalogo einaudiano testimonia in quegli anni di censure e di arresti ('il carcere ci scottò tutti quanti', avrebbe ricordato patron Giulio, riferendosi alla retata subita dai suoi redattori nel maggio 1935) un'apertura mentale impossibile da nascondere. Essa investiva oltre alla letteratura, l'economia, la scienza e la saggistica di argomento civile. Scorgendo per esempio fra i libri di Pavese una copia ingiallita di Il pensiero politico italiano di Luigi Salvatorelli, si risale alla fondazione di quella "Biblioteca di cultura storica" che quel volume inaugurò, e che sarebbe sempre restata un emblema di qualità. Italo Calvino indicherà in Leone Ginzburg l'uomo dal quale 'la collana ebbe il primo impulso' (e fu lo stesso Ginzburg a trovar da ridire quando un'altra collana venne battezzata "Biblioteca dello struzzo": così, osservò, tutti penseranno che stampiamo 'libri che solo uno struzzo può digerire'). Cesare Pavese, Felice Balbo, Massimo Mila, poi i 'romani' Muscetta, Alicata e Giolitti: sono soltanto alcuni degli intellettuali che, fra carcere, condanne al confino e lutti irreparabili (la morte di Ginzburg e di Giaime Pintor) si inscrivono in quella storia. Di cui sono parte integrante quelle riunioni redazionali del mercoledì, in cui - racconterà Giulio Einaudi - si poteva vedere 'Giaime Pintor in polemica con Vittorini, Vittorini con Calvino, e Pavese con Felice Balbo'. Troppi cervelli riuniti insieme, con l'obbligo di pensare. Uno fra i dibattiti più accesi riguardò quella collana viola di studi religiosi, etnologici e psicologici, che fu inventata (benché in vivace disaccordo fra loro) da Pavese e Ernesto De Martino. L'autore di La bella estate ne conservava vari volumi. E le altre aziende editoriali? 'Bocca, Laterza, Treves erano per noi gli esempi storici' ricorderà ancora patron Giulio. 'I nuovi antagonisti, la Mondadori e la Bompiani'. Specie quest'ultima nella persona del suo fondatore, il conte Valentino. Dopo esere stato segretario di Arnoldo Mondadori, egli si era messo in proprio fin dal '29, iscrivendosi a quella categoria che uno storico della cultura, Gian Carlo Ferretti, chiama degli 'editori protagonisti'. Soprattutto nel campo della letteratura d'oltreoceano la sua presenza era determinante. Porta il marchio Bompiani quella preziosa raccolta di narratori intitolata Americana (Pavese la conservava nell'edizione del '42) intorno alla quale il Regime inscenò un autentico baccanale censorio. Elio Vittorini che come consulente editoriale si divideva fra Mondadori, Bompiani e Einaudi, partecipò alle trattative con grande veemenza. Si diceva allora fra letterati che, pur avendo chiuso le proprie sedi diplomatiche a guerra iniziata (1941), gli Stati Uniti potevano contare in Italia su due ambasciatori. Uno era Pavese, l'altro Vittorini." (da Nello Ajello, La scoperta dell'America per raccontare l'Italia, "La Repubblica", 06/07/'08)
Fondazione Cesare Pavese
"Omaggio a Cesare Pavese nel centenario della nascita", mostra a cura di Mariarosa Masoero e Giovanni Tesio, dal 16 giugno al 25 luglio 2008 (in collaborazione con il Centro di Studi di Letteratura Italiana in Piemonte e l'Associazione Amici di Lalla Romano) - Biblioteca Nazionale Braidense – Sala Maria Teresa - Via Brera 28 Milano

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