lunedì 9 agosto 2010

Tradotti e traditi


"La notizia non è nuova, ma se ne parlerà a lungo: La montagna incantata di Thomas Mann non sarà più 'incantata' ma diventerà La montagna magica. I germanisti diranno: finalmente. Perché in realtà, spiega Renata Colorni che si è assunta la fatica di una nuova traduzione del grande romanzo (uscirà nei Meridiani a fine ottobre), quello è il vero titolo (Derzauberberg, come Zauberflote, infatti è Il flauto magico). Già Ervino Porcar, storico traduttore di Mann, aveva proposto La montagna magica, tra l'altro rifacendosi alle traduzioni straniere, tutte giocate sul 'magico', ma non se ne era fatto nulla, perché ormai la prima traduzione italiana aveva divulgato l'altro titolo usato fino ad oggi, cioè fino alla proposta della colorni di cambiarlo per renderlo pù aderente all'originale. Ad ottobre conosceremo tutti i passaggi della vicenda, grazie ad un saggio che la Colorni stessa sta scrivendo.
Ma è facile cambiare il titolo ad un libro ormai classico? Proprio per niente. Tutti sanno che Il giovane Holden, titolo italiano del capolavoro di Salinger, non è affatto la traduzione letterale dell'originale. Anzi, una nota editoriale (cosa piuttosto insolita) spiega che The Catcher in the Rye è intraducibile, perché allude ad una canzone scozzese di Robert Burns ricordata in modo storpiato dal protagonista Holden Caulfield. Tradurlo alla lettera avrebbe prodotto un titolo del tipo Il terzino nella grappa, visto che il Catcher nel baseball è il "prenditore" munito di guantone e "rye" rimanda al "whisky-rye", cioè un whisky ottenuto con la fermentazione della segale. Insomma un pasticcio. Anni fa, nel 2004, in occasione della sua nuova traduzione di Delitto e castigo per la collana di classici dell'Ottocento pubblicata da questo giornale, Cesare G. De Michelis segnalava in una nota d'apertura che il vero titolo del grande romanzo di Dostoevskij avrebbe dovuto essere Il delitto e la pena proprio per suggestione del celebre libello di Beccaria, Dei delitti e delle pene tradotto in russo fin dal 1803: un tema, quello del rapporto tra colpa e pena, di cui molto si discuteva in Russia, ci informa De Michelis, proprio intorno agli anni Sessanta dell'Ottocento, quando il romanzo venne scritto. Ma perché, viene da chiedersi, in italiano si optò per il castigo e non per la pena, occultando il riferimento a Beccaria che invece era esplicito? Semplice: perché la prima traduzione italiana del 1889 fu fatta dal francese. Dunque Le crime e le châtiment (1884) divenne Il delitto e il castigo, né poteva essere altrimenti. Poi gli articoli caddero e si arrivò al Delitto e castigo da tutti conosciuto.
La nuova traduzione del romanzo di Thomas Mann di cui si diceva prima è, se non ho contato male, la terza nel giro di qualche decennio. Il romanzo di Dostoevskij arriva invece, con quella di De Michelis, alla ventitreesima traduzione. Non senza qualche novità, il che prova che i grandi libri si possono rileggere all'infinito e ogni volta con profitti diversi. Non furono Baricco e Veronesi, qualche anno fa, a reclamare una nuova traduzione del Giovane Holden? E non fu Deaglio a difendere quella esistente di Adriana Motti? Il problema delle traduzioni è antico e spinoso, il loro valore in termini culturali immenso. Ma torniamo ai titoli. Che forse, quando hanno troppo successo e sono troppo radicati nella memoria, è giusto correggere, ma senza contar troppo sulla riuscita. Chi riuscirà a convincere i lettori che Gogol (per restare in area russa) ha scritto non Il cappotto ma La mantella? Nel 1991 Nicoletta Marcialis pubblicò per la Salerno una nuova traduzione del racconto di Gogol (con una introduzione di De Michelis) e la intitolò, appunto, La mantella. Nel dar conto delle precedenti traduzioni (anche qui, come per Dostoevskij, moltissime) si scopre che si era passati da L'uniforme del '16 di Domenico Ciampoli al Mantello adottato da Giuseppe Loschi nel '18 e poi da Corrado Alvaro nel '20, però già Clemente Rebora nel '22 adottava la traduzione poi divenuta corrente, Il cappotto mentre nel '37 abbiamo addirittura Il pastrano. Al consolidarsi del titolo più diffuso avrà certamente contribuito il film di Lattuada, che è del '52, girato non in Russia ma nella nebbiosa Pavia e ambientato negli anni Trenta, con Renato Rascel nel ruolo dell'impiegatino perseguitato dalla miseria e con il sogno del cappotto nuovo. Nicoletta Marcialis è molto convincente nelle sue spiegazioni circa l'opportunità di adottare la traduzione "mantella" al posto del "cappotto". Tra l'altro nella mantella c'entra persino quella di Pulcinella... D'altra parte un racconto letterario incamera suggestioni d'ogni genere. Gogol scrisse questo suo capolavoro a Roma e un ricordo del soggiorno romano è il lancio dei rifiuti dalla finestra, di cui è vittima lo scrivano Acacio. L'usanza infatti non era russa. Dal Cappotto (dalla Mantella) di Gogol siamo discesi tutti, sembra aver detto Dostoevskij. Ma De Michelis, citando Ettore Lo Gatto, ci ricorda che forse la celebre frase è di Ivan Turgenev ... Insomma non è provato che la tradizione si consolidi in base alla realtà di fatto e spesso l'errore ha una sua invincibile energia che lo perpetua. Un altro titolo celebre che corrisponde solo in parte all'originale è Gita al faro di Virginia Woolf. To the Lighthouse, suona in inglese e Nadia Fusini, ritraducendo il romanzo per Feltrinelli all'inizio degli anni Novanta, ha voluto che il titolo fosse Al Faro. Spiega al lettore nella sua introduzione che Virginia Woolf pensa a qualcosa che sostituisca il termine romanzo per questo suo nuovo libro, forse elegia. Un'elegia "al Faro". «Quel "to" è preposizione che in inglese non indica semplicemente un moto a luogo; non è solo il vettore di uno spostamento, un possibile o impossibile approdo al Faro. È anche un dativo: il polo di un'offerta, di un dono». Oltre dieci anni dopo, però, la nuova edizione della Garzantina letteraria non registrerà né la variante Mantella alla voce Gogol, né Al Faro alla voce Woolf. Andrà meglio, negli anni a venire, per La montagna magica? Io qualche dubbio ce l'ho." (da Paolo Mauri, Tradotti & traditi, "La Repubblica", 09/08/'10)

La nuova montagna di Thomas Mann da "incantata" è diventata "magica" ("La Repubblica")

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