Biblioteca civica "MINO MILANI" bibliogarlasco@yahoo.it tel. 0382/801009 "Le paradis, à n'en pas douter, n'est qu'une immense bibliothèque" (Gaston Bachelard) SELEZIONE DI ARTICOLI SULL'UNIVERSO-LIBRO
sabato 10 settembre 2011
Ritratti di pittori
"Cranach e Brueghel, Tiziano e Rubens e poi Watteau e Fragonard e su fino a Manet, Cézanne e van Gogh: un viaggio nell'arte figurativa che si scioglie in fantasie, aneddoti, improbabili variazioni sotto gli stimoli delle immagini.
Nell'antologia di brevi testi di Robert Walser, Ritratti di pittori, curata per Adelphi da Bernhard Echte e ottimamente tradotta da Domenico Pinto, lo scrittore svizzero non sale in cattedra a disquisire su antichi e nuovi maestri, non si mostra impettito nella divisa del critico d'arte. Fantastica piuttosto con gli occhi e la mente e gioca con la letteratura, consapevole però che «il pennello farà sempre impallidire anche la più raffinata costruzione verbale». I quadri, a suo parere, sono sorprese, suggestioni a non finire; la parola invece solo un'entità astratta, un grumo di riflessione.
E' un omaggio - Ritratti di pittori - al fratello Karl che si era già affermato come artista e che egli ammira e segue a Berlino all'inizio del Novecento. Mentre per lui la strada della scrittura è piena di ostacoli e senza speranze. I suoi romanzi, apparsi fra il 1907 e il 1909, piacquero ad autori come Kafka, Musil, Canetti; eppure egli rimase uno scrittore pressoché sconosciuto, morto nel manicomio di Herisau in Svizzera nel 1956, a settantotto anni, di cui gli ultimi ventisette trascorsi in cliniche per malattie mentali.
Anche in quest'antologia, come già nei suoi articoli e feuilleton sugli scrittori (Ritratti di scrittori, da Goethe, a Schiller, da Hölderlin a Kleist, da Dickens e Dostoevskij, traduzione di Eugenio Bernardi, Adelphi 2004), Walser affascina per il tono dimesso e stralunato, la finta ingenuità, il gioco ironico e talvolta surreale. Lo scrittore frequenta i musei di Berlino, visita mostre come quella di Manet nella primavera del 1910 o quella della Secessione e forse anche quella di Cézanne organizzata dal noto mercante d'arte Paul Cassirer, amico dei due fratelli. Più tardi a Berna, dove si trasferisce nel 1921, visita una grande esposizione di van Gogh e approfondisce l'arte belga.
A raccontare quelle immagini nei brevi articoli, nei dialoghi, nei sonetti dedicati alla Venere di Urbino di Tiziano o a due innamorati in un quadro di Boucher come nelle poesie su dipinti di Rembrandt, Delacroix, Renoir e van Gogh, c'è la voce di un fabulatore nascosto in segrete lontananze, in spazi inconsueti. Inutile cercarvi un giudizio estetico, un inquadramento storico. Walser scivola fra forme e colori, talvolta mescolando e confondendo particolari, per trovare ispirazione alla propria fantasia, inventando storie, evocando dettagli di una vita che pare fuori del tempo, ignara di ogni vicenda. Eppure proprio lui si fa paladino della materialità, si infervora per Cézanne che sa «abbracciare l'oggetto» ma anche cogliere nelle cose la sostanza dell'inesplicabile. Ama la carnalità dei suoi fiori e si inebria per una musicalità che nasce dalla ricchezza dello sguardo dell'artista.
In realtà è anche quella di Robert che in un dipinto di Hodler, «Il bosco di faggi», coglie l'aspetto acustico della pittura, il gelo e il vento che il colore trascina nel quadro, il tremolio delle foglie, mentre il suo sguardo si perde in remote lontananze.
Lo sconfitto, emarginato Walser non manca di fare l'elogio della felicità attardandosi su un dipinto del fratello Karl: «Nessuno dovrebbe essere infelice», chiosa colui che il mondo ha ampiamente ignorato. C'è anche qui come altrove un gioco di specchi, un malinconico risvolto autobiografico che di fronte alla splendida icona della libertà, «slanciata, perfetta di vita», nel famoso dipinto di Delacroix, predilige la figura della donna in ginocchio che invoca pietà ed è scossa dal dolore.
Anche la vittoria semina tragedie, e tuttavia, proprio di fronte a una tavola dello svizzero Albert Anker che mostra una fanciulla morta, egli è pronto a credere che la speranza infranta sappia riacquistare rosee sembianze.
Quelle che accarezza nei dipinti di Watteau e di Fragonard, nelle cui tele ascolta sussurrii, tremolii d'amore, e dove si adagia beato ritrovando la lievità di una vita sognata. Sono i pittori che sanno escogitare mille bellezze, lontano dai tormenti quotidiani. Quelli che risvegliano la memoria del suo fantasticare, la gioia della scrittura come libertà, come speranza e invenzione del futuro." (da Luigi Forte, Walser, passeggiate per tele e colori, "TuttoLibri", "La stampa", 10/09/'11)
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