mercoledì 7 settembre 2011

Il festival d'Italia


"«Se pensavamo di arrivare all'edizione numero 15? Ma no, tentavamo a stento di capire se avrebbe funzionato la prima». Marzia Corraini ha i capelli candidi e un ciuffo le scende sulla fronte. Schiarisce la voce: «Poi, a un certo punto, è come se il Festivaletteratura ci fosse sempre stato e quasi non dipendeva più da noi se sarebbe continuato o no».
In che senso? «Quando la domenica sera il festival finisce - l'ultimo incontro è alle 6 e mezza, perché il giorno dopo i volontari vanno a scuola - un sacco di gente ci chiede le date del successivo».
Se anche avessero voluto chiuderlo, insomma, il festival di Mantova, il padre di tutti i festival che poi sono sorti in Italia, sarebbe andato per conto suo. Senza Marzia Corraini, Luca Nicolini e la moglie Carla, Laura Baccaglioni, Annarosa Buttarelli, Francesco Caprini, Paolo Polettini e Gianni Tonelli. Gli otto del comitato organizzatore, che a metà degli anni Novanta, sul modello del festival gallese di Hay-on-Wye e sulla base di uno studio commissionato dalla Regione Lombardia per capire come rilanciare l'immagine di una delle proprie città, misero in piedi il Festivaletteratura. Che dal 1997, quando esordì, ha accumulato consensi e primati, fino a dettare i tempi delle case editrici, che fanno uscire molti libri ai quali tengono in coincidenza col festival. Eppure il festival, che oggi apre i battenti della quindicesima edizione, cambiando molto, è restato lo stesso. Marzia Corraini ha una galleria e una casa editrice che pubblica arte, grafica e libri per bambini.
Fondamentale è stato il sodalizio con Bruno Munari. Numeri ridotti, qualità elevatissima. «La prima edizione del festival fu molto contenuta, cento incontri, nessuno il giovedì e il venerdì mattina, quindicimila presenze. Ora gli appuntamenti sono trecento, ai quali nel 2010 hanno preso parte centomila persone», racconta. «Però continuiamo a non avere un direttore artistico, i relatori non sono retribuiti, il budget è cresciuto - ora siamo a un milione e quattrocentomila -, ma la composizione è rimasta identica: le istituzioni pubbliche versano il 15%, e il resto viene dai biglietti, da centocinquanta sponsor e soprattutto dal lavoro dei volontari, noi otto compresi». I volontari, i ragazzi con la maglietta blu, sono il primo impatto arrivando a Mantova.
«Siamo alla seconda generazione. È il miglior investimento che facciamo da quindici anni. I più grandi istruiscono i più giovani. Ma molti suggerimenti li danno anche a noi. A una volontaria polacca dobbiamo la segnalazione di Herta Müller, che a settembre è venuta a Mantova e a ottobre, quando ha avuto il Nobel, molti chiedevano a noi le sue foto». Ha mai avuto la tentazione di trasformare questo impegno in una professione? «Mai. Né io né nessuno di noi otto. Luca e Carla fanno i librai, c'è un architetto, una insegnante di filosofia, una ex dirigente del Comune, un commercialista ...».
Siete stati i primi a portare gli scrittori in piazza. «Abbiamo colto un desiderio di molti lettori di incontrare gli autori senza formalità. Osservammo l'esperienza di Hay-on-Wye, nel Galles. Per conto mio frequentavo le fiere del libro, da Chicago a Francoforte. Il contatto con gli scrittori doveva avvenire non come in un convegno, ma nelle piazze e nei luoghi più frequentati della città».
Come è andata con le amministrazioni pubbliche? «Abbiamo dialogato con tutte, di qualunque colore. All'inizio la Provincia era governata dalla Lega. Ora al Comune governa il centrodestra, dopo anni di centrosinistra. Ma è soprattutto la città che abbiamo avuto al nostro fianco. Quando abbiamo cominciato molti ci erano vicini solo perché ci conoscevano. Poi la partecipazione è cresciuta».
Si è capito che era un'occasione per tutti. Le ricerche di Guido Guerzoni della Bocconi hanno dimostrato che per un euro investito se generano dieci in tutta la provincia. «Ho letto. All'inizio nessuno immaginava che un festival potesse produrre questi effetti. Ma poi la consapevolezza è cresciuta. Sono cambiati gli orari dei negozi. Si torna prima dalle vacanze per organizzarsi al meglio».
E con gli editori? Quanto contano nella stesura del programma? «Ci segnalano autori. Ma sono anche gli stessi autori che si segnalano. E molte indicazioni arrivano dal pubblico. Poi siamo noi a scegliere, insieme ad alcuni amici che ci fanno da consulenti».
Ma gli editori puntano soprattutto a presentare le loro novità. O no? «Questo è naturale. Ma, accanto alle novità, ogni anno ci sono proposte diverse, autori non tradotti o che non hanno libri in uscita. "Più di metà degli ospiti non li conosco", mi disse una volta un affezionato del festival. Anche a me capita, talvolta, di non sapere chi sia uno scrittore che viene a Mantova. Mi fido di chi propone il suo nome».
Quest'anno avete subito tagli? «Il Comune ha dimezzato il contributo. Ma da tempo stiamo molto attenti alle spese. Abbiamo ridotto gli incontri all'aperto, che richiedono tendoni o altre strutture». Non ci sono grandi nomi, premi Nobel. Perché? «Non ci siamo mai intestarditi sui personaggi di richiamo. Ci interessano un'offerta variegata e la presenza diffusa di temi nuovi. Non ci è mai piaciuto esibire una compagnia di giro».
Quella che transita da un festival all'altro - centinaia in tutta Italia? «Non volevo dir questo. Siamo tutti contenti che da Mantova siano partite tante idee. E che di festival se ne organizzino molti. Alcuni scrittori li abbiamo ospitati più volte. Altri si fermano anche dueo tre giorni. Chiediamo loro di impegnarsi in diversi incontri, concordiamo gli interventi. Suggeriamo argomenti, li stimoliamo. A volte mi sembra di essere una rompiscatole. Altri autori arrivano qui perché alcuni colleghi gli hanno raccontato di Mantova».
Se oggi dovesse pensare a un festival, lo farebbe come Mantova? «Non lo so. È come in cucina: si cercano gusti particolari. Mi incuriosiscono piccole iniziative, come alcune delle sezioni del nostro festival, che potrebbero anche avere una vita autonoma».
La letteratura in piazza è ancora una formula che la convince? «Quest'anno la piazza la sottolineiamo con forza. La piazza, i luoghi della socialità, l'intera città. Prima che i biglietti si comprassero in rete, anche le file ai botteghini erano occasione per creare comunità. Internet è un altro spazio per stringere rapporti. E ora che la piazza è tornata a essere un motore della vita politica, anche noi cerchiamo di contribuire allo scopo»." (da Francesco Erbani, Il festival d'Italia, "La Repubblica", 07/09/'11)

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