sabato 3 settembre 2011

La verità, soltanto la verità


"Nel 2007 la raffinata casa editrice romana Playground di Andrea Bergamini ha tradotto Cani selvaggi, romanzo breve della scrittrice canadese Helen Humphreys (benché già assai apprezzata in patria, era ancora inedita in Italia, nonostante l'attenzione suscitata dalle sue connazionali della generazione precedente, come Alice Munro e Carol Shields, o quasi coetanee, come Ann-Marie MacDonald). Sospeso fra realismo brutale e poesia, squarciato da sentenze quasi epigrammatiche, di una intensità bruciante, quel piccolo romanzo sul dolore, sulla solitudine, sulla perdita e sul desiderio ha guadagnato anche da noi molti ammiratori - e mi annovero fra questi. La concisione, il linguaggio limpido e sorvegliatissimo svelavano la vocazione lirica di Humphreys, che ha esordito come poetessa prima di dedicarsi soprattutto alla narrativa. I romanzi apparsi in seguito, Il giardino perduto (2009) e Coventry (2010), entrambi di ambientazione inglese, sono anch'essi - benché in modo più tradizionale - una riflessione sugli stessi temi di Cani selvaggi. Ma, ambientandoli nei giorni tragici della Seconda guerra mondiale, Humphreys si confrontava anche con la Storia (come aveva fatto Michael Ondatje nel fortunato Il paziente inglese). Sceglieva però una prospettiva obliqua, elusiva e antieroica, attraverso la vicenda di due donne in cerca di se stesse, la volontaria orticultrice Gwen Davis e la vedova Harriet Marsh. E obliqua è anche la prospettiva di La verità, soltanto la verità - forse il suo romanzo più ambizioso - appena pubblicato da Playground per la traduzione di Carlotta Scarlata. Il suo tema, però, stavolta, è la letteratura. In controluce, infatti, può essere letto come una contesa tra due modi di scrivere, vivere, amare: il confronto serrato fra una scrittrice nata nel 1961, che ha scelto la brevità, l'ellissi, il frammento, la narrazione soggettiva ed elegiaca dei sentimenti non-conformi, e uno scrittore nato nel 1802 divenuto monumento nazionale francese ancora in vita che ha scelto la totalità, la torrenzialità, l'epica, il cosmo, la Storia.
Insomma, Humphreys vs. Victor Hugo. L'audacia della sfida genera sospetto e però merita rispetto. Il romanzo racconta infatti la struggente storia di Adèle Hugo. Ma non l'Adèle H. di cui François Truffaut ha narrato la rivolta e la follia amorosa in un film ossessivo e dolente del 1975, con Isabelle Adjani nel ruolo del titolo, e che resta - per me e per tutti coloro che l'hanno visto - definitivo e insuperabile. Questa Adèle Hugo - non meno appassionata e ribelle, ma più saggia - è la madre di lei: moglie di Hugo e amante del suo migliore amico, Sainte-Beuve, scrittore anche lui ma destinato a perdere - in amore e in letteratura - la battaglia con lo straripante rivale. Giornalista, poeta, stilista, erudito, romanziere di insuccesso, scrittore di sfumature e sentimenti inespressi, Sainte-Beuve divenne col tempo un critico e uno storico influente, e ci ha lasciato un capolavoro, il grandioso Port-Royal (da poco apparso presso Einaudi), che Contini definiva "il più gran libro che sia stato scritto", capace di sfidare, nella sua ambizione di libro-totale, i romanzi di Victor Hugo. Amico geloso e ambiguo, uomo timido e diverso (una malformazione sessuale sembra condannarlo alla solitudine), Sainte-Beuve è la coscienza e il punto di vista privilegiato del romanzo di Humphreys che - servendosi dei diari, delle lettere, delle scritture originali dei protagonisti storici - le reinventa, inseguendo la verità che quelle stesse scritture occultano o gridano. La verità del titolo (italiano, perché in originale suona più didascalicamente La reinvenzione dell'amore) è infatti la chimera che ossessiona tutti i protagonisti e gli scrittori coinvolti. Che cosa è - davvero - la verità, cui Sainte-Beuve sacrifica l'unica donna che ama, riamato? La confessione dell'adulterio all'amico e marito tradito, che distrugge la felicità di tutti? Il legame indissolubile fra un autore e la sua opera, che Sainte-Beuve scopre quando rinuncia a scrivere le proprie storie per ri-scrivere le storie degli altri - verità critica che pratica e rivendica orgogliosamente coi suoi "ritratti" fino alla morte? Si può vivere nella verità o si deve riservarla alla letteratura? E quale letteratura svela la verità sulle persone, sulla storia e sull'amore? Il romanzo? La biografia? O la letteratura è la più perfida delle invenzioni, e dunque una menzogna? Humphreys diffida del tirannico ed egocentrico Hugo, nuovo Saturno che finirà per divorare tutti i suoi figli, ed empatizza con l'inquieto Sainte-Beuve: si potrebbe anche interpretare il suo romanzo come un omaggio a quest'ultimo: un "ritratto letterario" di Sainte-Beuve à la Sainte-Beuve. Ma non offre risposte - anzi, smentisce anche nella forma le convinzioni del suo protagonista, concedendo spazio alle voci narranti delle due Adèle Hugo. Ci consegna così un romanzo biografico anomalo, rapsodico e frammentario nonostante il rispetto della cronologia, un melodramma quasi astratto sui suoi temi prediletti (la perdita, la solitudine, il desiderio), ma soprattutto sulla crudeltà dei sentimenti, che si ascolta come un romantico quartetto di archi di Franck suonato da striduli violini elettrici." (da Melania Mazzucco, Quando l'amore è una vera invenzione: ecco l'altra Adele H., "La Repubblica", 03/09/2011)

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