martedì 12 maggio 2009

Quei fanciulli liberi e selvaggi contro gli adulti


"Nella storia della letteratura per l’infanzia e soprattutto nei libri che in questo ambito sono universalmente considerati i classici, domina quasi sempre un Io che può avere caratteristiche addirittura sensazionali. Pietro Citati notò che Jim, nell’Isola del tesoro, è dovunque, vede tutto, fa muovere, da solo e interamente, la macchina del romanzo. Non diversamente, il Remigio di Senza famiglia, morto Vitali, il suo compagno di viaggio, si sente libero, avverte la bellezza del rapporto tra sé e le strade di Francia dove è quasi sempre solo. Anche Il fanciullo rapito di Stevenson non vorrebbe tornare alla civiltà e si duole, alla fine del romanzo, di essere di nuovo un cittadino, non più un solitario Robinson tra le maree, i tramonti, le spiagge vuote. Fernando Tempesti, il compianto, massimo studioso di Pinocchio, accostò il burattino alla maschera di Stenterello perché entrambi si valgono del soliloquio e dialogano solo quando non possono proprio evitare di farlo. Gli Altri sono clamorosamente strumentalizzati in una pagina in cui Mark Twain mostra Tom che si fa pagare dai suoi amici per concedere loro il mediocre privilegio di imbiancare uno stecconato. Giannino Stoppani è solo contro l’universo adulto e non manca mai di deriderlo, di punirlo, di umiliarlo, soprattutto mettendone in evidenza la vacuità, l’ipocrisia, la falsità. L’alterità di Pel di Carota lo colloca sempre ai margini di un ambiente che non può assolutamente capirlo perché lui è il filosofo della solitudine, cerca solo il dialogo con se stesso, scruta solo nel proprio animo. Davvero tristissimo è il congedo del Piccolo Principe dal suo Pilota: il misterioso bambino biondo ha del resto fornito una galleria terrificante di adulti non molto diversi da quelli che avviliscono l’esistenza di Gian Burrasca. Se Jo ha tre meravigliose sorelle e ben quattro libri per frequentarle e per amarle, è pur vero che il suo autentico regno è la soffitta, e del resto la sorellina prediletta dice che Jo è libera e sola come un gabbiano. Si può e si deve riflettere su questa tipicità della condizione infantile entro i grandi classici dedicati ai bambini, essa sembra derivare soprattutto da quella che fu definita la «scoperta dell’infanzia», uno degli eventi con cui inizia davvero la Modernità. Mentre vengono scoperti, appunto, davvero guardati, osservati, analizzati, resi con accurata credibilità, i bambini sembrano tutti parenti di quel «ragazzo selvaggio» dell’Aveyron che il professor Itard scruta davvero, senza usare la vecchia ermeneutica che li considerava adulti rimpiccioliti e difettosi. Poi, come in uno splendido mandala pedagogico, il massimo poeta dell’infanzia novecentesca, François Truffaut, nel suo film Il ragazzo selvaggio, assegna a se stesso il ruolo del professor Itard. E il suo Antoine Doinel, portato nel cellulare dalla polizia, contempla la sua Parigi con lo stesso sguardo che appartenne al suo coetaneo Gavroche nei Miserabili di Hugo. Si comincia a vederli davvero, ma non in gruppo, non in rapporto con gli altri, non entro quelle provvisorie congreghe di ladri piccoli che appaiono in Malot e in Dickens: i due autori denunciavano la formazione di gruppi scellerati, l’Altro, per Oliver e per Remigio, è uno da borseggiare. Tanto il nazismo quanto il fascismo e il comunismo ebbero piena coscienza del pericolo derivato dall’esaltazione dell’individualità nella letteratura per l’infanzia: la Hitlerjugend, i Balilla e i Pionieri furono la risposta imponente proprio alle raffigurazioni dei bambini soli. I più celebri, fra i nostri «Libri di Stato per le elementari», ovvero Il balilla Vittorio e il Quartiere Corridoni sono libri corali, così come è collettivo e avverso nei confronti delle solitudini il Cuore: ma De Amicis era già socialista quando lo scrisse. Si deve, per altro, segnalare un curioso accadimento nella storia della letteratura per l’infanzia: la «Biblioteca dei miei ragazzi» di Salani, tanto amata da Umberto Eco, apprezza i gruppi e mostra sentitamente l’Io in rapporto con gli altri. Derivata dai volumi pubblicati prima a puntate, poi con belle rilegature, da "La semaine de Suzette", i libri di Salani mostrano molto spesso gruppi di ragazzi e di bambine, con una raffigurazione molto attenta a rendere proprio unicamente il rapporto tra sé e gli altri, fino a non concedere spazio a talenti solitari. Un autore, fra gli altri, André Bruyère, offriva solo storie di liete «tribù» di bambini e bambine: La tribù dei conigli selvatici, La squadra dei sei, Verdi contro azzurri, Il tesoro meraviglioso, sono piccoli capolavori del vivere insieme, del realizzare sé in rapporto agli altri. "La semaine de Suzette" era chiaramente orientata in senso politico, era un settimanale cattolico liberale per bambine: un enigma pedagogico su cui riflettere." (da Antonio Faeti, Quei fanciulli liberi e selvaggi contro gli adulti, "TuttoLibri", "La Stampa", 09/05/'09)

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