sabato 16 maggio 2009

Manguel: "La mia fede nel romanzo"


"E' stato leggendo L'isola del tesoro di Stevenson, a otto o nove anni, che sono stato improvvisamente colpito dal dubbio su chi veramente io fossi. La mia edizione portava un'introduzione intitolata 'Come questo libro è stato scritto', che spiegava come Stevenson, in un pomeriggio piovoso, avesse cominciato a raccontare la storia al suo figliastro disegnando per lui la mappa dell'isola. Un'immagine della mappa era fedelmente riprodotta sul frontespizio. L'isola del tesoro iniziava con una confessione: 'Prendo in mano la penna nell'anno di grazia 17--, e torno indietro al tempo in cui mio padre gestiva la locanda chiamata Admiral Benbow'. La comparsa alla locanda del malvagio Vecchio Lupo di Mare, impaurito da un ignoto 'marinaio con una gamba sola', aveva cominciato a riempirmi di delizioso terrore quando, dopo poco più di venti pagine, mi accorsi che tutto ad un tratto il narratore veniva chiamato 'Jim'. 'Jim': sfogliai nuovamente l'introduzione. Non c'era alcun dubbio. L'autore, leggevo, era qualcuno il cui nome di battesimo era 'Robert Louis'. Eppure qui, sulla pagina stampata, figurava come 'Jim'. Non riuscivo a comprendere come fosse possibile. Il narratore non era la stessa persona il cui nome appariva sulla copertina? Era ovvio che non potessi sbagliarmi, perché 'prendo in mano la penna' era scritto distintamente nel primo paragrafo. L''io' che aveva cominciato a raccontarmi la sua storia, non era quindi Robert Louis, l'autore dichiarato del libro, ma qualcuno chiamato Jim che, apparso dal nulla, aveva misteriosamente usurpato il posto di Robert Louis nel mio libro. La storia era fasulla, dunque? Possibile che l'autore avesse mentito? [...] Il dialogo che uno scrittore stabilisce con il lettore è fatto di artificio e inganno. Per dire la verità, lo scrittore deve mentire in un numero di modi intelligenti e convincenti; lo strumento per farlo è il linguaggio - inaffidabile, manipolato e manipolativo, ufficialmente sacrosanto in quanto pretende di dire quel che il dizionario afferma che dice, ma in pratica soggettivo e circostanziale. La voce narrativa è sempre una finzione dietro cui il lettore assume (o gli si chiede di assumere) una verità. L'autore, il personaggio guida, appare al lettore dal nulla, quasi ma non del tutto una creatura in carne e ossa, resa presente dalle sue stesse parole, come la voce beckettiana che parla a Mosè dal roveto ardente, dicendo: 'Io sono colui che sono'. Questa è l'identità assoluta, divina, autodefinita, circolare che ogni scrittore si garantisce con la prima persona singolare. Un'identità a cui i lettori sono chiamati a rispondere: 'Se noi, spesso attraverso i chilometri e i secoli, possiamo sentire la voce che dice 'Io' sulla pagina, allora 'Io' deve esistere e 'Noi' dobbiamo credere ad essa'. Dire 'Io' significa mettere davanti al lettore la prova apparentemente irrefutabile di uno speaker le cui parole possono dire la verità o mentire, ma la cui presenza, attestata dalla sua voce, non deve essere messa in dubbio. Dire 'Io' significa disegnare un cerchio in cui scrittore e lettore condividono un'esistenza comune all'interno dei margini della pagina, dove realtà e irrealtà si cancellano a vicenda, dove le parole e ciò che esse indicano a vicenda si contaminano. Se questo è il caso, e s ei personaggi che incontriamo lungo la strada di Dante dalla foresta oscura all'Empireo hanno la qualità dei sogni, cosa dire allora degli altri, di cui l'evidenza dei nostri sensi ci dice che sono vivi: noi, i lettori costanti? 'Ti racconterò una storia' dice Dante, e in quella affermazione preliminare sia lui che il suo pubblico sono intrappolati fino a che l'ultima parola sia detta - e anche oltre. 'Tu, lettore, esisti', dice il poeta, 'come testimone e destinatario del mio libro, e quindi io, dimostrato da te stesso, poiché tu vedi e ascolti le mie parole, devo esistere a mia volta. E inoltre, tu puoi testimoniare per le creature della mia storia, i personaggi della mia trama, poiché essi occupano lo stesso spazio linguistico mio e tuo. Almeo all'interno del circolo della nostra relazione, delimitata dalle parole, dobbiamo credere l'uno nell'altro e nella reciproca onestà, sapendo che la finzione che ci lega contiene anche la verità. All'intero di quel circolo, puoi tu, lettore, decidere in termini assoluti che io esisto ma il Minotauro no? Che Beatrice e s. Bernardo e Virgilio e Gianni Schicchi sono reali perché la storia ci dice che un tempo hanno vissuto, ma che l'Angelo di guardia al Passo del Perdono non esiste se non nella fede, e che Caronte non è altro che materiale di storie antiche?'. Dante, come ogni poeta, ripete le parole dell'Unicorno ad Alice attraverso lo specchio: 'Se tu crederai a me, io crederò a te. D'accordo?'. Sette secoli di lettori hanno volontariamnete aderito a questo accordo mefistofelico. Ma la fede letteraria non è mai assoluta: essa esiste fra lo scetticismo che impedisce il godimento dell'immaginazione, e la follia che nega la realtà del mondo tangibile." (da Alberto Manguel, La mia fede nel romanzo, "La Repubblica", 16/05/'09; dalla lectio magistralis che Manguel terrà domenica 17 maggio alle 17 nella Sala azzurra del Lingotto)

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