mercoledì 3 dicembre 2008

Pietro Citati: "Addio al consumismo, riscopriamo le cose"


"Tutto cominciò, credo, verso l'inizio degli anni Cinquanta. Allora, un noto specialista americano in pubblicità venne incaricato di studiare il comportamento delle massaie nei nuovi supermarket. In un angolo, nascose una macchina da presa che avrebbe registrato i movimenti delle palpebre delle massaie mentre si aggiravano tra i reparti. Dal ritmo dei battiti egli poteva desumere la tensione interna di ognuna di loro: tenendo conto che la media si aggira attorno ai trentadue battiti al minuto. Quando una massaia metteva piede nel supermarket, veniva inquadrata dall'obiettivo, che la seguiva passo dopo passo. Il numero dei battiti scendeva rapidissimamente, fino a raggiungere la media di quattordici al minuto: una media subumana, coem quella dei pesci; tutte le signore precipitavano in una forma di trance ipnoide. Molte erano così ipnotizzate, che a volte incontravano vecchi amicie conoscenti senza riconoscerli e salutarli. Alcune procedevano con gli occhi sbarrati. Altre si aggiravano tra i banchi come automi, pescando a caso dagli scaffali, o inciampando negli ostacoli senza vederli: spesso non scorgevano la macchina da presa, sebbene fosse a mezzo metro. Quando avevano riempito il carrello, si avviavano verso la cassa. In quel momento, il numero dei battiti cominciava a risalire. Appena trillava il campanello del registratore e la voce del cassiere chiedeva il denaro, il ritmo delle palpebre raggiungeva all'improvviso, i quarantacinque battiti al minuto. In questi quasi sessant'anni gli americani e gli europei hanno vissuto in una condizione di trance ipnoide, come le massaie del 1952. Abbiamo consumato, sempre più velocemente, sempre più istericamente, senza che nessuna necessità ci costringesse a comprare. Conosco un bambino di otto anni: ama piantare sul terrazzo di casa i peperoni e i pomodori e vederli crescere. Ma, a Natale, padre, madre, nonni, nonne, zii, cugini e cugine gli regalano trenini elettrici, automobili modernissime, aerei teleguidati, animali mostruosi, che il bambino guarda con disgusto per qualche minuto e poi butta via. Non vedo perché uomini adulti debbano possedere otto telefonini, quaranta paia di scarpe, tre macchine velocissime, due televisori portatili, uno yacht con i rubinetti d'oro: né perché da qualche anno le contadine toscane comprino due cucine complete, una delle quali serve da salotto; né perché cinquanta milioni di persone visitino le Gallerie Vaticane o l'Ermitage, senza capire niente di quello che intravedono nel delirio; né perché, dopo sei mesi, una ricca signora milanese cambi il suo frigorifero bianco con un frigorifero rosa. Negli ultimi anni il cosiddetto consumismo ha fatto crescere rapidamente l'imbecillità degli italiani. Un mio amico, che per molti mesi insegna dante, Chaucer, Pindaro e Virgilio in un'università americana, è ritornato ieri a Roma. Mi ha detto che, in soli quattro mesi, la sciocchezza italiana è aumentata del trenta per cento, almeno nelle persone che occupano ruoli pubblici e appaiono in televisione. [...] Come quasi tutti gli storici sanno, nella storia non c'è nemmeno un'ombra, o un barlume, di progresso ininterrotto. Quando sembra sul punto di giungere alla meta, la storia si ferma, bivacca per qualche tempo in un bosco o in una palude, si addormenta, produce catastrofi, rieprcorre la strada che ha già percorso, procede a zig-zag. Credo che avesse ragione Leopardi, quando nel maggio 1833 scriveva a una sua amica fiorentina. 'Quanto a me, cara signora, voi sapete bene che lo stato progressivo della società non mi riguarda per niente. Il mio stato, se non retrogrado, è eminentemente stazionario'. Quindi entrerà in crisi il cosiddetto consumismo. Non sarà più possibile consumare consumare consumare: comprare una Bentley quando basta una bicicletta. Mi auguro che gli uomini ritrovino un giusto rapporto con le cose, che abbiamo comprato, ingoiato, sciupato, gettato con incredibile leggerezza per tanti anni. Oggi, sono troppe. Si accumulano da tutte le parti, l'automobile e la lavatrice, il quadro e il tappeto, cinquecento cravatte e quaranta paia di scarpe nell'armadio. Siamo ricoperti dagli oggetti: nascosti dagli oggetti; stanchi di quello che produciamo. Abbiamo smarrito la sensazione di come è fatta una cosa. Del suo peso, del suo spessore, dei suoi colori, delle sue ombre, e del valore simbolico che può avere nella nostra vita. Non le amiamo più. Non possiamo amarle visto che oggi sono diventate infinitamente sostituibili. [...]" (da Pietro Citati, Addio al consumismo riscopriamo le cose. "La Repubblica", 03/12/'08)
Citati nel catalogo Mondadori

Nessun commento: