lunedì 29 dicembre 2008

Per i diritti umani non basta una Carta


"Il 6 gennaio del 1941 Franklin Delano Roosevelt tenne un famoso messaggio al Congresso degli Stati Uniti in cui proclamò che in tutto il mondo e a tutti gli uomini dovevano essere riconosciute quattro fondamentali libertà: libertà di coscienza, libertà di religione, libertà dal bisogno, libertà dalla paura. Erano le radici di un grande albero, quello del riconoscimento dei diritti umani. Il passo successivo fu l’adozione, alle Nazioni Unite, della Dichiarazione universale dei diritti umani, il 10 dicembre 1948, sessant’anni fa. Già esistevano il Bill of Rights inglese del 1689, la dichiarazione americana del 1776 e quella francese del 1789. Ma mancava un testo che valesse per tutti e che realizzasse l’idea kantiana che la violazione di un diritto in un paese desta scandalo nel resto del mondo, come scrive il giurista Antonio Cassese in Voci contro la barbarie (Feltrinelli), che narra la battaglia per i diritti con le voci di chi l’ha combattuta. Si tratta di un’antologia, curata da questo studioso che ha rappresentato l’Italia in diversi tribunali dell’Onu. Dà conto dei casi più clamorosi di violazioni dei diritti nel secolo scorso: dal massacro degli armeni allo sterminio degli ebrei, dai gulag sovietici alle dittature sudamericane, dal genocidio in Ruanda agli stupri nel Darfur, ma al tempo stesso ricostruisce gli episodi di ribellione e di speranza: per i diritti delle donne, contro l’oppressione coloniale, per l’obiezione di coscienza, contro il razzismo e le disuguaglianze. Fra i testimoni, Mahatma Gandhi, Primo Levi, Alexandr Solzenicyn, Nelson Mandela. Alla fine un appello: 'Continuiamo a gridare'. Dello stesso Cassese, ecco un’antologia di vent’anni di suoi scritti giornalistici: Il sogno dei diritti umani (Feltrinelli), a cura di Paola Gaeta, con introduzione di Antonio Tabucchi. Il filo rosso è l’ipotesi che si debba favorire la crescita d’una società civile internazionale. Scettico (per esperienza?) nei confronti della politica, il giurista scandaglia il contributo, al di là degli estremismi e delle ingenuità, della domanda di giustizia che si avverte nel mondo, delle denunce di semplici cittadini contro il potere e i potenti, e dei movimenti di ribellione (da Seattle a Genova) che insorgono contro la riduzione delle persone a 'elementi di un enorme mercato mondiale'. Ma qual è l’essenza di quelli che chiamiamo 'diritti umani'? Su quali basi li riconosciamo, li proclamiamo, li facciamo valere? E ancora: che cosa s’intende per dignità umana? Quand’è che dobbiamo considerarla calpestata?
Interrogativi cui rispondono altri due libri: lo storico Marcello Flores, studioso degli Human Rights, pubblica una Storia dei diritti umani (Il Mulino), che parte dall’età classica, attraversa il cristianesimo, percorre Umanesimo e Rinascimento, colloca la scoperta dei diritti nell’età dei lumi, e arriva sino ai problemi e alle contraddizioni del nostro secolo; l’altro libro s’intitola I diritti umani da un punto di vista filosofico (Bruno Mondadori), breve testo postumo della filosofa ginevrina Jeanne Hersch (1910-90), a cura di Francesca De Vecchi, con prefazione di Roberta De Monticelli, in cui si esamina il fondamento e la varietà dei diritti umani: alla vita, all’uguaglianza, alla felicità, alla pace. Indagine storica e riflessione filosofica mettono a fuoco problemi e contraddizioni. Flores deve misurarsi con la questione dell’universalismo, perché i diritti dipendono dai valori da cui derivano nelle varie culture: 'Ciò che si ritiene un diritto umano in una società può essere considerato come antisociale da un’altra', osservavano gli antropologi americani sessant’anni fa. Come conciliare universalismo dei diritti e differenze delle culture? Bisogna riferirsi a una svolta storica: la seconda guerra mondiale come risposta a regimi che avevano fatto della negazione dei diritti e della loro universalità un perno ideologico. D’altra parte, la Hersch, con la sua 'digressione filosofica' affonda il coltello nella proverbiale piaga: perché i diritti, nella sua visione, 'non sono un dato di natura', 'non appartengono al mondo dei fatti', dipendono dall’aspirazione di ogni uomo a essere rispettato come tale, e a poter esercitare una 'libertà responsabile'. In questo senso l’uomo vuole, desidera, sceglie, si propone dei fini, introducendo nel mondo dei diritti e il diritto. 'Ma non per questo – scrive la filosofa – il diritto smette di appartenere alla natura'. Continua a dipendere dal regno della forza. Separati del tutto dalla forza, i diritti non avranno realtà. Per la loro affermazione non basta una carta: si realizza nei conflitti, fra politica e giustizia, fra potere e identità, fra interessi delle maggioranze e tutela delle minoranze, fra valori simbolici e memorie collettive. Come sanno Amnesty International, Save the Children, Human Rights Watch o Médecins sans Frontères, il riconoscimento dei diritti è un processo storico costantemente in atto." (da Alberto Papuzzi, Per i diritti umani non basta una Carta, TuttoLibri", "La Stampa", 27/12/'08)

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