Biblioteca civica "MINO MILANI" bibliogarlasco@yahoo.it tel. 0382/801009 "Le paradis, à n'en pas douter, n'est qu'une immense bibliothèque" (Gaston Bachelard) SELEZIONE DI ARTICOLI SULL'UNIVERSO-LIBRO
domenica 13 aprile 2008
Nello stesso tempo. Saggi di letteratura e politica di Susan Sontag
"Susan Sontag è morta nel 2004 e questa raccolta di saggi, amorevolmente curata dal figlio David Rieff e dal suo fedele traduttore italiano Paolo Dilonardo è dunque una raccolta postuma di scritti recenti: saggi, prefazioni, interventi, opinioni di diversa origine e natura ma che concorrono efficacemente a dare un'idea di cosa la Sontag sia stata. La loro lettura non fa che confermare la nostra ammirazione. Era possibile incontrare spesso la Sontag in Italia, amava viaggiare, vedere, capire, discutere, ed era molto curiosa del nostro paese e della sua cultura. Negli ultimi anni, per esempio, si interessò particolarmente di quella parte del nostro teatro che viene detto, chissà perché, 'di ricerca' (l'unico che meritasse e meriti ancora attenzione: l'altro pensa di aver trovato, e si è seduto). Attenta, franca, mai recitante, una persona ammirevole, una figura intellettuale come se ne incontravano raramente e ancor più raramente se ne incontreranno, è probabile, in futuro. Confesso però di non aver mai considerato di grande interesse la sua produzione 'creativa', i suoi romanzi, film e lavori teatrali, non era in questo il suo talento migliore e ricordo ancora l'irritazione con cui vidi un suo film tanti anni fa, un tormentone girato in Svezia, tema la coppia, di un intellettualismo esasperante, o con cui lessi, con interesse 'napoletano', il suo romanzone su lady Hamilton, 'l'amante del Vesuvio' ... Nei suoi romanzi, film e lavori teatrali l'accordo tra idee e racconto era troppo sbilanciato. Aveva perfettamente ragione, la Sontag, nella sua reiterata battaglia con la critica americana perché le idee innervassero l'arte, e in questo era e si voleva più europea che americana e i suoi interlocutori più forti amava cercarli sul vecchio continente, tra i Barthes, i Godard, gli Enzensberger. Ma era, e lo sapeva, totalmente americana quando invece rivendicava la libertà di muoversi su più campi, di tentare il nuovo, di 'viaggiare' in più direzioni, anche alla lettera in peregrinazioni al seguito della storia. Gli intellettuali europei difettano in genere di curiosità e di generosità, lo aveva capito benissimo. Invece 'gli americani tendono a pensare che tutto sia possibile', diceva, e questo 'è un atteggiamento che mi piace moltissimo. Da questo punto di vista, so di essere molto americana'. Portava nella cultura degli Stati Uniti l'ostinata lucidità che aveva appreso dalla migliore cultura europea, di cui però comprendeva le strettoie, il rischio di un intellettualismo fine a se stesso (l'amore narcisistico per la propria intelligenza, mortale difetto di molti, slegato da ogni agire socialmente aperto, innovatore, di verifica delle idee nella realtà) e non era affatto disposta a rinunciare alla libertà di pensiero che le veniva dalla tradizione del radicalismo americano. Ricordo un suo intervento su Paul Goodman, che non considerava un suo maestro, ebbe a dirmi, ma di cui valutava con ammirazione la presenza critica attiva, concreta. Credo si debba aver tutti qualche debito di riconoscenza verso la saggista, la polemista, la critica, la commentatrice politica, la viaggiatrice Sontag, esploratrice instancabile del mondo e della cultura, di quella alta come di quella bassa, di quella aristocratica e di quella comune, che si interrogava sulle loro ragioni e che scriveva di politica o di letteratura, di fotografia o magari di pornografia con la stessa onestà e lo stesso acume, rischiando di sbagliare ma rifiutando ogni pre-giudizio, lontano sempre il sospetto di qualche astuzia o menzogna. Sapeva mettersi in gioco e parlare di sè, 'partire da sé' senza nessuna esibizione e se tanti sono i suoi saggi memorabili (di alcuni si può esserle più grati che di altri, e non solo di Contro l'interpretazione, di Sulla fotografia, di Stili di volontà radicale), Malattia come metafora, tra i suoi ultimi, aggiungeva alla Nemesi medica di Ivan Ilich una lettura estremamente personale ma anche estremamente collettiva di una condizione sempre più comune, dove direttamente e non solo indirettamente l'autrice entrava in gioco con assoluta franchezza. Di quet'ultima raccolta si segnalano il bel saggio su Victor Serge e il suo romanzo sul tempo di Stalin Il caso Tualev, o quello su Sotto il ghiacciaio del Nobel misconosciuto Halldor Laxness, un romanzo che ameremmo poter leggere in italiano, o su Estate a Baden Baden di Leonid Cypkin, che ha per protagonista Dostoevskij. Si tratta in questo caso di prefazioni a libri tradotti in America, come quella ad Artemisia di Anna Banti, una prefazione partecipe e puntuale nell'analisi del rapporto tra la scrittrice e il suo personaggio, la sua distanza e la sua identificazione. Qui si parla di donne, da donna. Ma ci sono anche interventi sulla fotografia (e in particolare quello bellissimo sulle fotografie di Abu Ghraib, nell'intervento Davanti alla tortura degli altri che rimanda nel titolo al suo Davanti al dolore degli altri). Ma che parli della bellezza o della traduzione letteraria, delle Due Torri o di Israele e Palestina (nel discorso pronunciato all'assegnazione del Premio Gerusalemme), di Pasternak o di Bush, lo fa sempre a partire dalla coscienza della responsabilità dell'intellettuale, un tema oggi fuori moda e, anche per questo, estremamente attuale." (da Goffredo Fofi, Le responsabilità di Susan, "Il Sole 24 Ore Domenica", 13/04/'08)
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