martedì 1 aprile 2008

Cesare Segre


"Tirar giù dallo scaffale i libri di Cesare Segre, atto voluto e dovuto in occasione dei suoi ottant'anni, è un'impresa non facile ma emozionante. Non facile perché quei libri son tanti, anche a causa di quella sua 'bigamia', come l'ha definita, che lo ha portato a interessarsi sia di filologia romanza (da cui un'infinità di edizioni critiche, come quelle della Chanson de Roland o dell'Orlando furioso) sia di semiotica e strutturalismo (da cui i colloqui con Lévi-Strauss e Jakobson, Barthes e Greimas, Eco e Corti, Avalle e Lotman, Bachtin e Starobinski, in volumi einaudiani come Le strutture e il tempo, Teatro e romanzo, Fuori dal mondo, Intrecci di voci). Emozionante perché si rileggono con piacere le teorie e le indagini su autori di tutte le letterature (Dante, Boccaccio, Cervantes, Shakespeare, Machado, García Márquez, Fenoglio, Pizzuto, Gombrowicz, Beckett), ritrovando idee e intuizioni rimaste inosservate se non malintese. Anche dalla lettura di suoi volumi più recenti, dedicati alla critica letteraria (Notizie dalla crisi, Ritorno alla critica, Tempo di bilanci) e artistica (La pelle di San Bartolomeo), nonché dell'autobiografia (Per curiosità), c'è sempre da pensare e da imparare. Segre è stato ed è un personaggio strano. Rigoroso sino al puntiglio, però alla ricerca del piacere del testo. Schivo, eppure ideologicamente appassionato e impegnato politicamente. Il tipo del topo di biblioteca che non disprezza i fasti e i nefasti del mondo e della società. Ma si tratta di una caricatura. Potremmo dire anzi che tutto il suo lavoro, la sua vita, sono dedicati al superamento di questi steccati, all'abbattimento degli specialismi, al tentativo di un dialogo, spesso duro e conflittuale ma comunque necessario, fra posizioni teoriche e pratiche intellettuali, fra elaborazioni concettuali e metodologie d'analisi, fra principi astratti e metodo induttivo. Cosa che gli ha fornito, nell'immensa varietà di interessi e competenze, una coerenza invidiabile, se pure di nicchia, e una gran quantità di allievi ed estimatori. La sua concezione di una critica testuale che coniughi l'interesse per le forme con quello per la storia, l'attenzione al dato linguistico e stilistico con quello al contesto sociale e culturale, è un insegnamento che spetta alle generazioni successive di riprendere e approfondire. In un momento in cui tornano gli specialismi e gli ontologismi, l'idea di un 'testo' che non è mai un dato oggettivo ma una doppia costruzione culturale (della società prima, dello studioso poi) è senz'altro da custodire con cura, provando a usarla ancora, speriamo col suo ulteriore ausilio, al di là del campo linguistico e letterario che egli ha prediletto." (da Gianfranco Marrone, Gli ottant'anni di Segre: il piacere del testo, "TuttoLibri", "La stampa", 29/03/'08)

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